venerdì 5 settembre 2008

Pensieri di fine ferie / 2 - Il merito, questione centrale al di là di Brunetta

La crociata del ministro Brunetta contro i fannulloni ha tenuto banco nel periodo estivo, aprendo un dibattito che mi ha un po’ affaticato, e spiego perché.

Dico subito che troppo spesso il merito in Italia conta come il due di coppe quando è briscola bastoni. E quando dico merito intendo sia la sostanza dei problemi su cui dovrebbero vertere dibattiti e confronti, sia la capacità dimostrata nei fatti dalle persone nel proprio lavoro e nella vita civile.

Sul merito delle questioni, troppo spesso basta uno spunto per saltare alle conclusioni senza passare dal merito, e si sentono esprimere (pre)giudizi che prescindono da una valutazione quantitativa e comparativa (con molta confusione fra travi e pagliuzze) e in cui la competenza specifica è sovente vista come un optional non necessario.

Foto di mandolux su FlickrE il merito delle persone troppo spesso non è il metro su cui vengono giudicate le capacità, costruite le carriere, verificati i percorsi, riconosciuto il valore. Resta invece l’alternativa (inaccettabile) fra l’arbitrio personale e la rigidità degli automatismi.

Questo è un vero e proprio cancro che mina da tempo il nostro paese, ed un importante fattore di declino competitivo rispetto a nazioni in cui il merito viene invece riconosciuto e premiato. Benché non mi pare che il problema venga percepito da tutti nella sua dimensione e pericolosità, è talmente ingombrante che va crescendo una vaga ma diffusa percezione della sua esistenza.

Questo spazio è stato occupato sui media da Brunetta che ha preso di mira il fenomeno estremo, quello dei fannulloni. Tanti si sono affrettati a dire che si tratta di pochi casi ma la maggioranza dei lavoratori fa il proprio dovere. In effetti sono vere entrambe le cose, il che consente ai più di percepire il tema come qualcosa che non li tocca direttamente.

Ma quel che sia Brunetta sia chi lo contesta si guarda bene dal dire è che il problema è proprio la mancanza di un sistema che consenta di premiare il merito e punire il demerito.

Il ministro non lo dice perché la sua crociata contro i fannulloni è strumentale per gettare un discredito generale sull’insieme di servizi pubblici che il governo di cui fa parte ha l’evidente intenzione di scardinare o indebolire, come i recenti provvedimenti sull’Università o i tagli ai finanziamenti alla sanità dimostrano ampiamente.

Non è peraltro nuova la strumentalità della destra italiana nello sventolare temi su cui ha sempre razzolato nel peggiore dei modi, alimentando clientele e favorendo le rendite di posizione, solo per creare un clima favorevole alle destrutturazioni e privatizzazioni che ha ora l’obiettivo di fare.

Foto di slambo_42 su FlickrMa contestare Brunetta senza riconoscere l’esistenza di una grande questione meritocratica nel nostro Paese è sbagliato e perdente. Rifugiarsi nella consuetudine degli automatismi per paura di affrontare il tema della valutazione del merito ci consegna ad un sistema bloccato senza peraltro evitare il rischio dell’arbitrio.

A meno che non si creda davvero che possa reggere un mondo del lavoro pubblico diviso fra i precari, sacrificabili (tutti, anche i bravi) in qualunque momento, e quelli di ruolo e dunque inamovibili (tutti, anche gli scarsi). Anzi, è proprio per difendere il servizio pubblico che va riconosciuta la centralità della questione del merito.

E se qualcuno avesse voglia di scherzare, dicendo che ci sono già gli strumenti per premiare il merito e arginare clientele, rendite di posizione e guarentigie varie ed eventuali, lo vada a spiegare al nostro Bersani che con le sue lenzuolate aveva cominciato a smuovere un po’ le acque.

Il timido sostegno e le resistenze che in quell’occasione si sono manifestate, insieme al gioco di rimessa rispetto alla crociata di Brunetta, sono lo specchio della difficoltà che come PD dobbiamo riuscire a vincere, facendo della battaglia per la meritocrazia un punto prioritario.

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