La notizia del concorso per ricercatore vinto dal figlio del prof. Stefoni, Preside della Facoltà di Medicina, nell'ambito della stessa facoltà, ha sollevato una questione di opportunità. Ma andiamo alla sostanza, la domanda che implicitamente aleggia è evidentemente questa: ha vinto il concorso in quanto meritevole o per nepotismo?
Nel primo caso sarebbe profondamente ingiusto che venisse infangato per il solo fatto di essere figlio del Preside. Nel secondo caso sarebbe profondamente ingiusto che non fosse il merito a determinare le vittorie nei concorsi.
Per quanto so e conosco, ho solo dei motivi per stimare il prof. Stefoni, e peraltro il curriculum del neoricercatore appare come di tutto rispetto: a prima impressione, propendo dunque per il primo caso.
Nondimeno, c'è un disagio di fondo che dovremmo riconoscere ed affrontare. Un disagio che da un lato muove le lettere anonime che elencano i figli di primari vincitori di concorsi per ricercatore nella Facoltà di Medicina. Un disagio che d'altra parte rischia di esporre al pubblico ludibrio un meritevole solo per la "colpa" di essere figlio di qualcuno. Un disagio che a mio avviso chiede all'Università (e al Parlamento) di prendere in mano la questione della valutazione del merito, e di dare risposte robuste e serie. Non sto a ripetere le cose che ho scritto qualche giorno fa, se avete voglia leggetele.
Credo che fondamentalmente ci siano due strade.
La prima possibilità è puntare sull'oggettività della valutazione, ma allora occorre avere davvero la garanzia che i concorsi premino la competenza in maniera oggettiva e incontrovertibile. Per cui se uno vince un concorso, è il migliore al di là di ogni ragionevole dubbio.
La seconda possibilità è puntare sulla responsabilità. Prevedere meccanismi per cui sia chiaro da chi è dipesa una certa scelta. Valutare i risultati della scelta. Se sono buoni, premiare sia il prescelto che chi lo ha scelto. Se non sono buoni, devono scendere le quotazioni sia del prescelto che di chi lo ha scelto. Un meccanismo più americano, in cui le raccomandazioni sono pubbliche e motivate, e però si rischiano la faccia e il posto.
Quel che non può più funzionare sono le mezze soluzioni all'italiana. Con concorsi teoricamente oggettivi, ma purtroppo non al di sopra di ogni sospetto. Con i responsabili in posti blindati, una volta che sei professore universitario nessuno ti può toccare (o meglio, devi fare qualcosa che metta di mezzo il codice penale, e anche in quel caso non è detto). Con i meritevoli sulla graticola, in ogni caso: o perché penalizzati e sconfitti nonostante le capacità, o perché discussi e sospettati nonostante vincitori di concorso.
E' un parere che giro anche al Ministro Brunetta, che ieri ha proposto di rendere pubblici i curriculum dei medici: benissimo, ma smetta per cortesia di fare scena al solo fine di instillare il dubbio che i servizi pubblici non funzionino. Perché il tema è farli funzionare, premiare davvero il merito: questo peraltro risolverebbe anche il problema dei fannulloni, che sono solo il segno estremo di un problema di meritocrazia ben più serio e complesso.
Ed è un parere che giro anche al mio leader Veltroni sul tema delle nomine dei direttori delle aziende sanitarie. Non è facendo i concorsi che risolveremmo tutti i problemi. Perché da un lato c'è chi si è assunto l’onere di scegliere, facendo nomine che si sono dimostrate di grande livello, e di ciò è prova una sanità che in alcuni luoghi funziona bene. Dall'altro c’è chi si è reso responsabile di scelte e di nomine che hanno portato allo sfascio la sanità di alcune regioni italiane, e per questo meritava e merita di essere punito (in senso elettorale/politico).
Certo, c'è l'esempio di Storace, che solo per quello che aveva fatto alla sanità laziale meritava di essere mandato a casa, e invece fu promosso da Berlusconi Ministro della Sanità. Ma se il centrodestra ha delle travi, noi abbiamo le nostre pagliuzze: avremmo potuto fare un po' più di pulizia nelle liste bloccate per il Parlamento del PD, in alcune regioni in cui alcuni nostri esimi colleghi non sono oggettivamente esenti da colpe per la situazione in cui versa la sanità che amministravano.
Per questo non possiamo pensare che la parola concorso abbia di per sé un effetto taumaturgico. O si riesce a rendere i concorsi davvero a prova di bomba, e su questo c’è ancora molta strada da fare, oppure forse vale la pena puntare sulla trasparenza delle responsabilità, con meccanismi di valutazione dei risultati che si riflettano sulle carriere di giudicati e giudicanti.
L’Italia ha bisogno che chi merita venga effettivamente premiato e chi demerita venga serenamente retrocesso. Vale per l’Università, per le aziende sanitarie, ed anche per la politica.
5 commenti:
Un commento, da universitario, senza un padre universitario.
Avere un padre universitario fornisce il vantaggio di conoscere l'ambiente molto prima di pensare di entrarci.
Conoscerlo a volta significa che dopo lo eviti.
Conoscerlo significa sapere di che lavoro si tratta.
Conoscerlo può significare innamorarsi di quel lavoro.
Conoscerlo significa sicuramente non averne titubanza e non vederlo inarrivabile.
Essere figli di, purtroppo, significa essere bollati indipendentemente dalle proprie capacità.
Ho amici che hanno fatto carriera in facoltà diverse da quelle dei padri per evitare il confronto, non diretto, ma indiretto, a cui l'opinione dei terzi li avrebbe sicuramente sottoposti.
Essere figli di non è una malattia.
Credo che questo valga anche per altri settori, sia pubblici, che privati.
Assessore, le racconto di una notizia che forse saprà più precisamente di me (io me la ricordo a grandi linee).
Anni fa c'erano degli immigrati, a Bologna, d'origine nordafricana che facevano i panettieri, gli elettricisti e i fruttivendoli. Mandavano i figli all'asilo e le mogli a fare la spesa al supermercato, cose così.
La loro condizione abitativa però era precaria, tant'è che il Comune propose loro di alloggiare in non so che stabile in non so che zona, per venire loro incontro.
Sa che dissero? Fecero notare che la zona proposta era notoriamente malfrequentata per via di loro connazionali non si sa bene a che dediti (malaffare?); dissero che per loro la vita era già più difficile che per i bolognesi proprio per colpa dei loro simili poco raccomandabili, che la gente vedeva colore della pelle e volti simili e indirizzava indistamente paure e diffidenze verso tutti (tanto per non sbagliare).
Ringraziarono quindi (che nobiltà, se ci pensa!) ma rifiutarono, perchè non gradivano che le occasioni di equivoco sulla loro integrità morale aumentassero causa vicinanze sgradevoli, seppur - o anzi a maggior ragione - di loro connazionali.
Come mai in Italia non succede niente di questo da decenni? Come mai tutti se ne fregano bellamente e sfacciatamente di ciò che riduttivamente si potrebbe chiamare "stile"?
Nicholas Kim Coppola (fonte: wikipedia) "da giovane [...]decise di cambiare il suo nome (in Nicholas Cage) per affrancarsi dalla reputazione dello zio e tentare di sfondare come attore indipendentemente dalla celebrità dei parenti"
Radicalmente, avrebbe potuto fare ancora meglio puntando altrove che nel mondo dello spettacolo: al massimo si sarebbe potuto dirlo avvantaggiato in quanto ricco.
Sa cosa? Sarò anche molto intransigente, ma parenti di personaggi potenti ed influenti che hanno la poca accortezza (o la sfrontatezza, o la mancanza di fantasia, o l'arroganza, ...) di seguire - ovviamente con successo - le orme dei giganti sulle cui spalle naneggiano, ispirano umanamente repulsione.
Perchè, per ben che vada, non è loro venuto in mente niente di meglio, per non insinuare delle virtù morali (cose d'altri tempi, si capisce) di cui potrebbero essere privi.
E qual è la risposta, invece? Che bisogna vedere, capire bene, che per paura che sia un di più non si deve far diventare la parentela uno stigma.
Capisco che la classe politica attuale non abbia più il cuore ardente dei vent'anni, ma è proprio la sgomentante tiepidezza del ma-anchismo del suo leader che lascerà sempre a furbi e senza scrupoli la possibilità di sentirsi oltre il bene e il male, per vivere nella società senza abbracciarne regole e valori.
Beninteso, con l'affranto disappunto di tutte le personcine perbene (se malauguratamente qualcosa trapela fino a loro).
Perdoni la logorrea... giusto un paio d'altre osservazioni.
- il nepotismo vero o presunto nella cosa pubblica è sicuramente un'infame aggravante: se il figlio del padrone nepotista dispone dell'azienda del padre, il figlio del magistrato nepotista si pasce di beni non suoi (e mi scusi se è poco). Se anche nel privato i sindacati contestano che le aziende siano dei padroni (i figli avendo la responsabilità sociale dei lavoratori dell'azienda e delle loro famiglie), pensi cosa dovrebbe succedere nel pubblico. Ah, ma nel pubblico il ruolo dei sindacati finisce per essere di chi dalla stessa mammellona sugge... un bel conflitto, le pare?
- dai concorsi e nelle raccolte punti delle merendine sono banditi per regolamento i dipendenti dell'azienda di merende e i loro famigliari; nel pubblico, e per concorsi ben più critici invece tutt'altro: vedo che in questo caso ci s'abbandona a disquisizioni sulle ragioni dei più forti, e sulla loro tutela.
- da bambino, infine, la maestra diceva "è intelligente, ma non si applica". Percepisce la contraddizione? Se è intelligente, evidentemente è l'applicarsi che non lo è; se applicarsi è invece una scelta intelligente, chi non ci arriva così intelligente non è.
Come si può allora essere persone degnissime, stimatissime e probissime e contemporaneamente lasciare che sospetti infamanti di nepotismo possano avere luogo?
Paruolo, in questi casi esiste una soluzione: il figlio va altrove, come succede in tutto il mondo, se è bravo non avrà problemi
questa è l'unica soluzione accettabile, tutto il pippone non giustifica assolutamente l'ingiustificabile, semma è segno di degrado culturale nell'accettare procedure melmose e bizantine che favoriscono quelli che sono già favoriti
letto il pippone non mi stupisco che sotto il suo naso si siano consumati scandali terrificanti senza che l'istituzione che rappresenta abbia fatto sentire la sua condanna, abbiamo i medici che si mandano i killer come i mafiosi e lei sta ancora a fare di questi distinguo...che pena...
un di è una directory se non sbaglio, detta anche a parte il undi me unxdi http://www.unxdi.com
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