mercoledì 24 settembre 2008

Il nuovo poliambulatorio Max Ivano Chersich

E' una bella giornata: vedere tanta gente contenta per il nuovo poliambulatorio inaugurato oggi in via Beroaldo è stato davvero tonificante.

All'inizio del mandato abbiamo dovuto combattere per sbloccare il progetto che si era impantato da molti anni. Riuscire a vedere il poliambulatorio aperto e operativo entro il mandato è davvero bello. E sono molti i problemi che trovano soluzione in questa nuova struttura, come i bolognesi impareranno utilizzandolo nei prossimi tempi.

Infine, il nome: il poliambulatorio è stato intitolato a Max Ivano Chersich. Non era un'autorità o una persona di fama nazionale: era un operatore sociosanitario che aveva operato a lungo nel quartiere San Donato, e che era stato apprezzato da tanti cittadini che in questo ruolo lo avevano conosciuto.

In un'epoca in cui sono i "fannulloni" a tenere banco, questa scelta, condivisa fra AUSL, Comune e Quartiere, è a suo modo un messaggio molto preciso...

giovedì 18 settembre 2008

Esser figli deve essere nè un di più nè un di meno

La notizia del concorso per ricercatore vinto dal figlio del prof. Stefoni, Preside della Facoltà di Medicina, nell'ambito della stessa facoltà, ha sollevato una questione di opportunità. Ma andiamo alla sostanza, la domanda che implicitamente aleggia è evidentemente questa: ha vinto il concorso in quanto meritevole o per nepotismo?

Nel primo caso sarebbe profondamente ingiusto che venisse infangato per il solo fatto di essere figlio del Preside. Nel secondo caso sarebbe profondamente ingiusto che non fosse il merito a determinare le vittorie nei concorsi.

Per quanto so e conosco, ho solo dei motivi per stimare il prof. Stefoni, e peraltro il curriculum del neoricercatore appare come di tutto rispetto: a prima impressione, propendo dunque per il primo caso.

Nondimeno, c'è un disagio di fondo che dovremmo riconoscere ed affrontare. Un disagio che da un lato muove le lettere anonime che elencano i figli di primari vincitori di concorsi per ricercatore nella Facoltà di Medicina. Un disagio che d'altra parte rischia di esporre al pubblico ludibrio un meritevole solo per la "colpa" di essere figlio di qualcuno. Un disagio che a mio avviso chiede all'Università (e al Parlamento) di prendere in mano la questione della valutazione del merito, e di dare risposte robuste e serie. Non sto a ripetere le cose che ho scritto qualche giorno fa, se avete voglia leggetele.

Credo che fondamentalmente ci siano due strade.

La prima possibilità è puntare sull'oggettività della valutazione, ma allora occorre avere davvero la garanzia che i concorsi premino la competenza in maniera oggettiva e incontrovertibile. Per cui se uno vince un concorso, è il migliore al di là di ogni ragionevole dubbio.

La seconda possibilità è puntare sulla responsabilità. Prevedere meccanismi per cui sia chiaro da chi è dipesa una certa scelta. Valutare i risultati della scelta. Se sono buoni, premiare sia il prescelto che chi lo ha scelto. Se non sono buoni, devono scendere le quotazioni sia del prescelto che di chi lo ha scelto. Un meccanismo più americano, in cui le raccomandazioni sono pubbliche e motivate, e però si rischiano la faccia e il posto.

Quel che non può più funzionare sono le mezze soluzioni all'italiana. Con concorsi teoricamente oggettivi, ma purtroppo non al di sopra di ogni sospetto. Con i responsabili in posti blindati, una volta che sei professore universitario nessuno ti può toccare (o meglio, devi fare qualcosa che metta di mezzo il codice penale, e anche in quel caso non è detto). Con i meritevoli sulla graticola, in ogni caso: o perché penalizzati e sconfitti nonostante le capacità, o perché discussi e sospettati nonostante vincitori di concorso.

E' un parere che giro anche al Ministro Brunetta, che ieri ha proposto di rendere pubblici i curriculum dei medici: benissimo, ma smetta per cortesia di fare scena al solo fine di instillare il dubbio che i servizi pubblici non funzionino. Perché il tema è farli funzionare, premiare davvero il merito: questo peraltro risolverebbe anche il problema dei fannulloni, che sono solo il segno estremo di un problema di meritocrazia ben più serio e complesso.

Ed è un parere che giro anche al mio leader Veltroni sul tema delle nomine dei direttori delle aziende sanitarie. Non è facendo i concorsi che risolveremmo tutti i problemi. Perché da un lato c'è chi si è assunto l’onere di scegliere, facendo nomine che si sono dimostrate di grande livello, e di ciò è prova una sanità che in alcuni luoghi funziona bene. Dall'altro c’è chi si è reso responsabile di scelte e di nomine che hanno portato allo sfascio la sanità di alcune regioni italiane, e per questo meritava e merita di essere punito (in senso elettorale/politico).

Certo, c'è l'esempio di Storace, che solo per quello che aveva fatto alla sanità laziale meritava di essere mandato a casa, e invece fu promosso da Berlusconi Ministro della Sanità. Ma se il centrodestra ha delle travi, noi abbiamo le nostre pagliuzze: avremmo potuto fare un po' più di pulizia nelle liste bloccate per il Parlamento del PD, in alcune regioni in cui alcuni nostri esimi colleghi non sono oggettivamente esenti da colpe per la situazione in cui versa la sanità che amministravano.

Per questo non possiamo pensare che la parola concorso abbia di per sé un effetto taumaturgico. O si riesce a rendere i concorsi davvero a prova di bomba, e su questo c’è ancora molta strada da fare, oppure forse vale la pena puntare sulla trasparenza delle responsabilità, con meccanismi di valutazione dei risultati che si riflettano sulle carriere di giudicati e giudicanti.

L’Italia ha bisogno che chi merita venga effettivamente premiato e chi demerita venga serenamente retrocesso. Vale per l’Università, per le aziende sanitarie, ed anche per la politica.

giovedì 11 settembre 2008

Addio, Achille

Il professore mi scuserà per la confidenza del titolo: nella realtà ci siamo sempre dati del lei. In un ambiente, quello politico, dove si dà del tu a tutti, lui per me era una delle poche eccezioni. E non mi veniva difficile, considerato che quando parlavo con lui avevo di fronte un "pezzo" importante della storia bolognese del dopoguerra.

Ora che Achille Ardigò ci ha lasciati, altri meglio di me potranno illustrare la ricchezza del suo contributo in campo politico e sociologico, ma io voglio dire che considero un onore averlo conosciuto.

In particolare, di lui mi ha sempre colpito il tenere insieme un respiro storico eccezionale con un fortissimo interesse per l'innovazione e la modernità. Sono andato a riguardare la nostra corrispondenza e-mail, e ho visto che abbiamo cominciato nel 2000 parlando di Internet e volontariato. Ho trovato più di cento suoi messaggi, concentrati soprattutto nel corso dello scorso mandato amministrativo, quando io avevo anche responsabilità di partito e poi forse la sua salute era più salda che nell'ultimo periodo.

Le sue mail tipicamente cominciavano già nella riga del "subject": veniva subito al sodo, come nelle sue telefonate... E i suoi non erano messaggi di prammatica: quando leggeva sui giornali qualcosa che condivideva mi scriveva i complimenti, e quando non era d'accordo me lo comunicava con cortesia ma con assoluta chiarezza. E poi, quasi sempre c'era un incitamento a farsi valere sui temi che a lui erano più cari.

Uno di questi era il ruolo dei cattolici democratici, naturalmente, in particolare a Bologna. Ed anche su questo tema riusciva ad tenere insieme tradizione e modernità.

C'era infatti un forte richiamo alle radici: "Facciamo qualcosa per far uscire Bologna dalla obnubilazione della vera plurale nostra identità storica. Altrimenti le nuove generazioni penseranno che (...) il card. Lercaro e Dossetti non siano mai stati in questa città."

Ma il voltarsi indietro non doveva per lui diventare nostalgia del passato bensì sprone ad andare avanti: "... non mi portera' mai a identificarmi con chi fa politica in nome del passato: sono, siamo, decisi a portare al rinnovamento di Bologna".

Conservo le sue osservazioni e i suoi consigli, spunto di riflessione anche in quelle occasioni in cui non eravamo dello stesso parere. Ne cito uno, cui provo ogni giorno a tener fede: "Si ricordi, uscire dal politichese con una levitas, malgrado il crescere per lei delle difficolta' e delle sfide".

Addio, professore, e grazie di tutto.

domenica 7 settembre 2008

Lo spirito delle primarie

Dopo mesi e forse anni di discussione sull'opportunità di fare le primarie, assodato che si faranno, da qualche tempo la discussione si è spostata sul modo di organizzarle. Speriamo che prima o poi il dibattito possa concentrarsi sulla sostanza, sul merito delle questioni amministrative, in modo da non fondare la scelta dei candidati solo sui personalismi e sulle simpatie o antipatie reciproche...

Nel frattempo però continuano ad uscire dichiarazioni ed articoli di stampa assai poco in linea con lo spirito che le primarie dovrebbero avere. Faccio tre esempi.

Muoia Sansone con tutti i filistei 1) La ricerca di un candidato unico contro il sindaco uscente da parte di alcuni settori del partito: le primarie non si fanno contro qualcuno, ma per qualcosa. Cercare un'unità "contro" è ad un passo dal "tutti ma non lui" che inevitabilmente rischia di lanciare un messaggio pericoloso e sbagliato verso le elezioni vere e proprie. Se si ha una proposta da fare, la si faccia, si metta in campo una candidatura "per". Ci si confronti con lealtà, e si usino le primarie per costruire un buon programma e un consenso forte attorno al candidato che le vincerà. Questo sono (dovrebbero essere) le primarie.

2) E infatti qualcuno si è spinto anche a dire che intende votare alle primarie ma poi pensa ad una lista alternativa per le elezioni: una concezione delle primarie come indebolimento preventivo di un avversario, che nulla ha a che vedere con lo spirito delle primarie. Un'esplicitazione che non ci sono programmi, progetti per la città in ballo, ma solo destini personali che si incrociano e si combattono. Mi dispiace, ma non ci siamo.

Hillary and BarackChiosa sui primi due esempi: come è possibile che in Italia (e a Bologna) si possa equivocare così tanto su uno strumento (le primarie) che altrove mostra tutta la sua freschezza? Io credo che ciò avvenga per l'endemica assenza del "merito" nelle discussioni (andate a leggervi il post precedente).

Quando Hillary Clinton ha dichiarato alla Convention dei Democratici il suo appoggio per Barack Obama, non ha detto ai suoi sostenitori "votate per lui perchè purtroppo io ho perso le primarie", ma ha detto "votate Obama, perchè sarà lui a portare a compimento la mia e vostra battaglia per la riforma del sistema sanitario, e non possiamo permettere che sia McCain ad affossarla: lo dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli". C'era della sostanza, oltre che della lealtà.

Comunardo NiccolaiMettere in campo della sostanza, delle proposte operative, confrontarsi davvero nel merito è un servizio che si fa al PD, alla coalizione, alla città, è un contributo che si può lasciare in eredità al candidato che vincerà le primarie e sfiderà per tutti noi il candidato della destra, contribuendo a rafforzarlo. Invece, il "tutti ma non lui" è solo un modo per provare a fare gol nella propria porta...

3) Un giornale (Il Domani di Bologna) ha scritto ieri che io sarei pronto a scendere in campo per le primarie per la Provincia contro Beatrice Draghetti, in una sorta di regolamento di conti fra correnti del partito. L'articolo si conclude così: "Come a dire, le eterne lotte che hanno portato la Margherita (prodiana) bolognese al 3,5% sono passate armi, bagagli (e faide) nel PD". La cosa interessante è che la Margherita (prodiana) bolognese non è mai scesa sotto il 7%, e questo "refuso" mi pare che la dica lunga sulle intenzioni di chi ha ispirato quel pezzo e del giornale che lo ha pubblicato. Che infatti oggi, dopo la mia immediata smentita, mi dedica solo queste parole: "Poco importa che Giuseppe Paruolo abbia smentito di essere lui il candidato che via Rivani potrebbe mettere in campo contro la Draghetti". Evidentemente la verità non è molto amata da quelle parti...

venerdì 5 settembre 2008

Pensieri di fine ferie / 2 - Il merito, questione centrale al di là di Brunetta

La crociata del ministro Brunetta contro i fannulloni ha tenuto banco nel periodo estivo, aprendo un dibattito che mi ha un po’ affaticato, e spiego perché.

Dico subito che troppo spesso il merito in Italia conta come il due di coppe quando è briscola bastoni. E quando dico merito intendo sia la sostanza dei problemi su cui dovrebbero vertere dibattiti e confronti, sia la capacità dimostrata nei fatti dalle persone nel proprio lavoro e nella vita civile.

Sul merito delle questioni, troppo spesso basta uno spunto per saltare alle conclusioni senza passare dal merito, e si sentono esprimere (pre)giudizi che prescindono da una valutazione quantitativa e comparativa (con molta confusione fra travi e pagliuzze) e in cui la competenza specifica è sovente vista come un optional non necessario.

Foto di mandolux su FlickrE il merito delle persone troppo spesso non è il metro su cui vengono giudicate le capacità, costruite le carriere, verificati i percorsi, riconosciuto il valore. Resta invece l’alternativa (inaccettabile) fra l’arbitrio personale e la rigidità degli automatismi.

Questo è un vero e proprio cancro che mina da tempo il nostro paese, ed un importante fattore di declino competitivo rispetto a nazioni in cui il merito viene invece riconosciuto e premiato. Benché non mi pare che il problema venga percepito da tutti nella sua dimensione e pericolosità, è talmente ingombrante che va crescendo una vaga ma diffusa percezione della sua esistenza.

Questo spazio è stato occupato sui media da Brunetta che ha preso di mira il fenomeno estremo, quello dei fannulloni. Tanti si sono affrettati a dire che si tratta di pochi casi ma la maggioranza dei lavoratori fa il proprio dovere. In effetti sono vere entrambe le cose, il che consente ai più di percepire il tema come qualcosa che non li tocca direttamente.

Ma quel che sia Brunetta sia chi lo contesta si guarda bene dal dire è che il problema è proprio la mancanza di un sistema che consenta di premiare il merito e punire il demerito.

Il ministro non lo dice perché la sua crociata contro i fannulloni è strumentale per gettare un discredito generale sull’insieme di servizi pubblici che il governo di cui fa parte ha l’evidente intenzione di scardinare o indebolire, come i recenti provvedimenti sull’Università o i tagli ai finanziamenti alla sanità dimostrano ampiamente.

Non è peraltro nuova la strumentalità della destra italiana nello sventolare temi su cui ha sempre razzolato nel peggiore dei modi, alimentando clientele e favorendo le rendite di posizione, solo per creare un clima favorevole alle destrutturazioni e privatizzazioni che ha ora l’obiettivo di fare.

Foto di slambo_42 su FlickrMa contestare Brunetta senza riconoscere l’esistenza di una grande questione meritocratica nel nostro Paese è sbagliato e perdente. Rifugiarsi nella consuetudine degli automatismi per paura di affrontare il tema della valutazione del merito ci consegna ad un sistema bloccato senza peraltro evitare il rischio dell’arbitrio.

A meno che non si creda davvero che possa reggere un mondo del lavoro pubblico diviso fra i precari, sacrificabili (tutti, anche i bravi) in qualunque momento, e quelli di ruolo e dunque inamovibili (tutti, anche gli scarsi). Anzi, è proprio per difendere il servizio pubblico che va riconosciuta la centralità della questione del merito.

E se qualcuno avesse voglia di scherzare, dicendo che ci sono già gli strumenti per premiare il merito e arginare clientele, rendite di posizione e guarentigie varie ed eventuali, lo vada a spiegare al nostro Bersani che con le sue lenzuolate aveva cominciato a smuovere un po’ le acque.

Il timido sostegno e le resistenze che in quell’occasione si sono manifestate, insieme al gioco di rimessa rispetto alla crociata di Brunetta, sono lo specchio della difficoltà che come PD dobbiamo riuscire a vincere, facendo della battaglia per la meritocrazia un punto prioritario.