domenica 23 dicembre 2012

M5S e futuro della democrazia

Nello spazio politico lasciato libero dall’insipienza dei partiti cresce un movimento cui non interessa costruire una classe politica capace di governare. Dietro le parole d’ordine del Movimento 5 Stelle si intravvede un disegno ancora non pienamente definito ma dai tratti decisamente preoccupanti, di cui nessuno pare accorgersi.
[Ho scritto questo articolo per Il Mosaico all'inizio di dicembre, prima delle ultime espulsioni. Qualcuno che lo aveva letto mi ha detto che avevo visto avanti, e che le ultime vicende mi danno ragione in modo evidente. Io invece ho ancora l'impressione che se ne parli molto senza cogliere il punto...]
E' del 2009 l’elezione a Bologna del primo consigliere comunale grillino e a ripensarci non pare vero siano passati solo tre anni. Un anno dopo, nel 2010, si è parlato di exploit per la conquista di due seggi nel Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna. Cosa dovremmo dire ora che in Sicilia il candidato delM5S ha preso il 18% dei  voti e sono stati eletti 15 consiglieri?
 I media per diversi anni hanno deliberatamente ignorato il movimento che stava prendendo corpo. Ora invece ne parlano molto, occupandosi di vari aspetti ma soprattutto di se stessi, ovvero del rapporto fra movimento e mondo dei media.  Del M5S parlano male, per lo più, ma con gli stessi effetti del silenzio dei primi anni: il movimento prosegue la sua finora inarrestata ascesa. Ma proviamo a mettere un po’ di ordine.
L’offerta politica dei grillini miscela elementi diversi: molte critiche (spesso sacrosante) alle storture italiche indotte o tollerate dalla politica; il linguaggio violento, offensivo e incline al turpiloquio di Beppe Grillo; la freschezza e in generale la buona volontà dei ragazzi che si candidano nelle liste M5S; un programma fatto di pochi punti a forte impatto (alcuni pienamente condivisibili, altri meno) e che si tiene attentamente alla larga da diversi argomenti: soprattutto evita questioni che potrebbero risultare discriminanti sull’asse destra-sinistra, in modo da poter pescar voti dai delusi di entrambi gli schieramenti.
Ma ciò che soprattutto fa discutere  è la democrazia interna al M5S, i diktat di Grillo e il ruolo di Casaleggio. Sul set si susseguono gli episodi: l’espulsione di Tavolazzi, il fuorionda di Favia, il caso Salsi-Ballarò, lo scontro Bugani-Favia e altri ancora. L’acuta deduzione è che nel M5S non c’è davvero democrazia e che Grillo (o meglio Casaleggio dietro di lui) è di fatto un tiranno.
Ora, che vi sia un problema di democrazia interna in una formazione politica guidata da un leader (o meglio  un dominus) che nel suo blog scrive che nel movimento “uno vale uno” e poche righe sotto procede ad un’espulsione con un semplice post scriptum, mi pare che sia di una evidenza lapalissiana. Tutti i giornali e le tv lo dicono, però non succede assolutamente nulla.
D’altra parte, c’è democrazia nel PDL di Berlusconi? C’è democrazia nelle varie formazioni politiche nate o finite sotto l’ombrello di un leader-padrone? Come si possa professarsi democratici militando in partiti che negano la contendibilità della propria guida è uno deimisteri inquietanti della politica italiana. Sta di fatto che l’assenza di democrazia interna è una caratteristica talmente comune che accusarne il M5S è un’arma spuntata, e come si vede inutile. E così continuerà ad essere fino a quando non riusciremo a fare crescere una sincera coscienza democratica nel nostro paese.
Per questo il punto che io ritengo più significativo è un altro, e riguarda l’obiettivo che il M5S si prefigge. Già, perché in tutta questa discussione sui mezzi, si perde di vista il fine. Quale è lo scopo? Che il M5S abbia l’obiettivo di abbattere l’attuale sistema dei partiti è infatti evidente, ma per sostituirlo con cosa? Non è chiaro. Anzi, comincia ad essere chiaro che la soluzione che hanno in mente i padroni del M5S non è una soluzione di democrazia tradizionale, e forse nemmeno democratica tout-court.
Quale è infatti il motivo dello scontro fra Casaleggio e il gruppo degli emiliani rappresentato da Favia, Tavolazzi, la Salsi ed altri? Stavano semplicemente costruendo una rete di relazioni interna al M5S. E’ una tendenza naturale in democrazia quella di cercare di strutturarsi, partire da una condizione di opposizione per costruire una proposta di governo e una organizzazione in grado di sostenerla. Capita naturalmente che reti e cordate concorrenti entrino in conflitto fra loro, ma nel M5S non c’è nessuna altra cordata: i gruppi locali sono pienamente autonomima sostanzialmente non collegati fra loro se non attraverso il dominus del movimento. Per questo l’alt a Favia e Tavolazzi ha il sapore dell’alt a qualunque rete di relazione interna al M5S.
Vogliamo parlare del limite dei due mandati nel M5S? D’accordo, gli italiani hanno tutte le ragioni di essere stanchi di parlamentari di lungo corso e di partiti che pongono limiti teorici al numero di mandati senza poi rispettarli. Ma vi pare normale una regola che dica due mandati in qualunque istituzione e poi basta? Significa nessuna esperienza sia per il neo consigliere di quartiere (e ci sta) che per il neo parlamentare: follia pura.
E l’autoriduzione dello stipendio? Anche qui, lo spettacolo dei casi Fiorito e similari è indecente, e serve una svolta di sobrietà che ristabilisca livelli retributivi ragionevoli per la classe politica. Ma fissare stipendi molto  bassi, oltre a lisciare il pelo all’indignazione popolare, ha anche l’effetto di escludere persone che legittimamente nella loro professione hanno stipendi più alti. È un modo di selezionare una classe politica di basso livello: gli metti in mano una telecamera e gli dici di filmare il suo vicino in aula mentre legge il giornale o si mette le dita nel naso e via andare. Se poi per caso ti sfugge il controllo dell’eletto, gli puoi sempre ricordare che è un ex-magazziniere, come ha fatto Grillo con Favia.
Tutti questi elementi hanno un significato univoco: ai padroni del M5S non interessa costruire una classe politica capace di governare davvero. Li lasciano liberi sul piano locale, ma impediscono che si connettano fra loro. Li mettono sul palco delle piazze per prendere i voti, ma non vogliono che vadano in TV. Decidono regole sui mandati e sugli stipendi non solo per marcare una differenza, ma anche per non fare crescere personalità politiche di spessore all’interno del movimento. Manderanno in Parlamento un piccolo esercito di neofiti, completamente asserviti ai voleri di Grillo e Casaleggio.
Ogni tanto qualcuno cita le suggestioni tecno-futuristiche di Casaleggio, che in sostanza prevede che Internet sostituisca democrazia e poteri attuali. Non come i Piraten, che usano Internet per costruire democrazia, Casaleggio parla di Internet come alternativa alla democrazia, spero sia chiara la differenza, al di là del corredo di guerre mondiali e sterminio della popolazione. Lo citano sempre senza prenderlo sul serio, e anche i militanti del M5S non se ne preoccupano più di tanto. Forse non è una buona idea.

mercoledì 12 dicembre 2012

Fra convenienza e verità sempre meglio la verità

Quante volte capita in politica di mettere tra parentesi la verità per motivi di convenienza? Tante, troppe volte. I cittadini sono sempre più stufi, e francamente anch'io.
Beppe Grillo ha cacciato dal M5S Giovanni Favia e Federica Salsi. A loro va la mia solidarietà personale, ma non posso offrir loro quella politica. Il M5S promuove una partecipazione che ha poco a che vedere con la democrazia, è evidente e non da oggi. In ogni caso loro due lo avevano capito da tempo, eppure hanno continuato a portare acqua a quel mulino sperando in una improbabile riconciliazione "con Beppe" che se anche fosse avvenuta nulla avrebbe cambiato della sostanza. Piuttosto, quante ne dovranno ancora succedere perché chi è dentro prenda coscienza che c'è un problema serio in quel movimento?
Con tutti i suoi (non pochi) difetti, il PD è comunque un luogo in cui democrazia non è una parola vuota e per questo impegnarsi ha un senso. Anche qui, nella verità. In queste ore tutti dicono "primarie per i parlamentari" ma mi pare di captare che ci sia chi lo dice perché le vuole davvero, aperte e senza rete, e chi invece lo dice perché non può fare a meno di dirlo ma lavora per limitarne la portata e la partecipazione. Io dico avanti, senza se e senza ma, senza quote di nominati, senza riserve, in un giorno sensato, aperte alla massima partecipazione. Basta far seguire i fatti alle parole, no?

domenica 9 dicembre 2012

Tutti per Bersani adesso, ma nella verità

Ad una settimana di distanza del ballottaggio è calata l'adrenalina da primarie ma sono rimaste forti alcune sensazioni. La prima e più importante è la gratitudine.
Un grazie di cuore va anzitutto ai tanti volontari con cui ho condiviso questa campagna: ho avuto la conferma di amici di lungo corso, ho riscoperto persone che avevo perso un po' di vista, ho conosciuto ed apprezzato persone nuove. Un grazie grande va a Matteo Renzi, perché il tema di fondo che ha posto (no, non la rottamazione ma l'idea di un modo nuovo di essere centrosinistra) resta, più forte di prima. E pur sconfitto, la sua sfida ha cambiato più di quanto non si percepisca. E poi grazie ai tantissimi che lo hanno scelto nell'urna: vorrei stringere la mano ad ognuno di loro, in particolare ai 33 mila che lo hanno votato nel nostro territorio bolognese, e dire loro che non li lasceremo soli.

Grazie anche a chi ha fatto scelte diverse, compresi quelli che mi hanno detto “mi dispiace ma Renzi non mi convince”. Ci sono persone che aspettavano con sincerità il cambiamento che in queste primarie è arrivato, ma non l'hanno riconosciuto: la colpa non è loro ma nostra, le loro perplessità ci raccontano gli errori che abbiamo fatto e che dobbiamo correggere.

Grazie infine a tutti coloro che si sono spesi per rendere belle queste primarie, e sono tanti, tantissimi: i sostenitori leali e corretti dei vari candidati, i volontari nei seggi e negli uffici elettorali, gli esponenti con cui ci siamo incrociati in dibattiti e confronti corretti e rispettosi, le persone con responsabilità nel partito e nelle istituzioni che si sono spese come me per mantenere alta la coscienza che dopo le primarie saremmo stati di nuovo tutti insieme.

Faccio invece più fatica a ringraziare coloro che invece di fare campagna per il proprio candidato l'hanno fatta tutta in negativo contro Matteo Renzi, con toni ed argomenti che mi hanno affaticato, soprattutto quando si trattava di persone a cui voglio bene e con cui ho condiviso in passato battaglie che non posso dimenticare. A loro vorrei dire vi voglio ancora bene, ma non possiamo non riflettere insieme sui motivi di tanta ostilità e di tanta incomprensione. E infatti la seconda sensazione non è né rabbia né amarezza, ma solo desiderio di verità.

Ha vinto Pierluigi Bersani, e ora siamo davvero “Tutti per Bersani”. Adesso, non prima, quando quello slogan sembrava ricordarci quanti pochi fossimo rispetto ai sostenitori del segretario, o ammonirci quasi che avessimo preso un abbaglio ad essere altrove. Quando leggo i commenti che parlano di una prevedibile sconfitta vista l'evidente sproporzione organizzativa, penso che è vero (la sproporzione era evidente ovunque, e qui a Bologna più che altrove) e che proprio alla luce di ciò abbiamo avuto un risultato straordinario. Ma al tempo stesso che l'esito fosse incerto è dimostrato dalla tensione sulle regole dell'ultima settimana, con errori da ambo le parti: quelli dalla nostra parte li abbiamo pagati subito, domenica scorsa; speriamo di non dover pagare più avanti quelli altrui. Sto pensando alle persone che si sono sentite respinte rispetto al loro desiderio di votare al ballottaggio: ho già scritto della notte passata a leggere le loro lettere, ed ogni volta che sento qualcuno (che non le ha lette) liquidare la questione con un “potevano pensarci prima” io soffro.

Ora chi come me ha sostenuto Matteo Renzi è chiamato a sostenere Pierluigi Bersani, in primis cercando di motivare coloro che hanno votato per Renzi alle primarie a votare per Bersani alle elezioni. E' uno sforzo che io intendo compiere davvero, ma nella verità. E verità richiede che venga riconosciuto che Matteo Renzi ha proposto un modo nuovo di essere centrosinistra, fatto proposte che non è obbligatorio condividere ma che hanno piena legittimità ad essere considerate foglie delle comuni radici e non ogm. La sua proposta ha convinto quanti fra noi si sono riconosciuti in quell'idea di cambiamento ed anche tante persone che si erano allontanate dalla politica o deluse da altre opzioni. 

Questo è il fondamentale presupposto per considerare i suoi voti un patrimonio potenziale su cui puntare alle elezioni. In questo senso è un problema aver sentito persone, anche con ruoli di responsabilità, sostenere che Matteo Renzi fosse uno che con la sinistra non ha nulla a che vedere, uno di destra che ha sbagliato partito, come Pietro Ichino ed altri suoi sostenitori, un berluschino, uno che a votarlo sono stati “gli altri”, “gli infiltrati”. Per questo mi rivolgo a chi ha pensato e detto queste cose, invitando tutti ad uno sforzo di confronto e di verità. A chi oggi invita giustamente a dismettere il "noi e loro" per riconoscere che c'è soltanto un noi, faccio presente che se c'è un noi non doveva e non deve esserci spazio per quel genere di argomenti.

Non mi spaventa l'ostilità, né mi preoccupano gli eccessi verbali da competizione, ma - a parte che una cosa è il dissenso, altro è la delegittimazione - qui emerge soprattutto una mancanza di comprensione, una visione chiusa e proprietaria di ciò che sia essere di sinistra. Sono nodi da sciogliere: se vogliamo i voti di chi si è riconosciuto nella proposta di Renzi, non possiamo semplicemente spazzare la polvere sotto il tappeto. E questo a maggior ragione oggi: in pochi giorni l'Italia è tornata a precipitare nell'emergenza, il Caimano è tornato e proverà a trascinarci nell'abisso, e per combatterlo abbiamo bisogno di unità vera e non solo di facciata.

Tutti uniti dunque, tutti per Bersani, ma con il coraggio della verità. Per i cinefili, lasciatemi citare Matrix (che a sua volta cita Alice): pillola rossa per tutti! E vedrete quant'è profonda la tana del bianconiglio...

sabato 1 dicembre 2012

Una notte in via Rivani

Sono in politica da una dozzina d'anni, un tempo non lunghissimo ma durante il quale ne ho viste di tutti i colori o quasi. Non sono dunque facilmente impressionabile, ma non potrò dimenticare la scorsa notte in via Rivani. L'ufficio elettorale provinciale si è riunito per esaminare le richieste pervenute di ammissione al voto per domenica prossima da parte di persone che non si erano registrate entro il primo turno, poco meno di 3000 fra mail, fax e moduli compilati personalmente.
Non abbiamo guardato da lontano i pacchi di carta, prendendo decisioni sommarie, ma ci siamo messi a leggere le richieste, ed è proprio questa la parte che non potrò dimenticare. Sono sprofondato - e con me credo anche gli altri presenti alla riunione - in un mondo fatto non di numeri e voti ma di persone, gente che ti raccontava la sua storia a volte in modo dettagliatissimo e a tratti commovente. C'era il giovane universitario che era all'estero per l'Erasmus o la giovane ricercatrice come visiting professor. C'era la persona malata a cui avevano cambiato il turno per la dialisi e non era riuscita ad andare a votare domenica scorsa. C'era chi ti parlava dei figli piccoli, della moglie malata, di un ciclo di chemioterapia, della nascita della sua secondogenita. E allegavano certificati medici, biglietti aerei, programmi dei convegni a cui avevano partecipato, ricevute dei telepass, certificati elettorali. C'era anche chi era laconico: motivi personali, dissenteria, influenza, uno ha scritto per motivi che non ritengo di dovervi raccontare (e aveva ragione, ovviamente!). C'era chi ti raccontava che la moglie era andata al seggio a votare e lui era rimasto con la mamma anziana, aspettando che lei tornasse a casa; ma al seggio c'era la coda, e quando la moglie è rientrata era troppo tardi per votare. C'era chi sapeva di essere via la domenica 25 e quindi aveva provato ad andare all'ufficio elettorale nei giorni precedenti, ma dopo un'ora di fila aveva desistito (ricordo che la semplificazione emiliana delle procedure ha riguardato solo il giorno del voto, non il funzionamento degli uffici elettorali nei giorni precedenti). C'era chi ti scriveva che non sapeva che poteva registrarsi direttamente al ballottaggio, chi ti diceva candidamente non voglio inventarmi una scusa perché la verità è che me ne fregavo ma dopo aver visto il dibattito in tv ho deciso che voglio partecipare al voto (e queste richieste, alcune appassionate e bellissime, non potevano essere accolte anche a norma del Regolamento - quello vero, deciso prima - ma che errore anche quello). Altri che temevano che su di essi gravasse il sospetto di non essere di centrosinistra - avete presente certe dichiarazioni sui giornali? quelle che se uno ci teneva davvero aveva 20 giorni per registrarsi, e quindi se non l'ha fatto è perché evidentemente non ci teneva - ti scrivevano che erano iscritti al partito da anni remoti, ti citavano gli esponenti del partito di cui erano amici, o ti dicevano che erano fondatori del PD e conservavano il certificato di cui ti davano il numero, e comunque ti raccontavano che loro ci tenevano proprio a votare, oppure ti parlavano della madre anziana che dalle 6 di stamattina stava insistendo per poter votare. E poi i nomi noti, persone comuni (ma questo è il compagno tal dei tali, esclamava qualcuno dei presenti, oppure ecco una famiglia di cinque persone miei amici dall'infanzia, da sempre di centrosinistra), e persone pubbliche: il docente universitario, l'editorialista politico, la cantante famosa che era in giro per concerti. Mentre la notte era ormai fonda io andavo avanti a leggere e dicevo a me stesso: ma cosa ci chiedono queste persone? Solo di partecipare! Non è per questo che facciamo politica? Non era per questo che abbiamo fatto le primarie? Ha senso avergli chiesto la giustificazione? Ha senso respingere le loro richieste? No, non ha alcun senso! Stanotte abbiamo celebrato un rito completamento privo di senso...
Tutti gli esempi che ho fatto - tutti - sono richieste che sono state rigettate a norma della delibera n. 26, quella che con il pretesto di interpretare il regolamento (le regole che non si cambiano?) lo deforma, chiudendo una porta che nel regolamento era socchiusa e che invece sarebbe stata da spalancare! Fra le richieste accolte ci sono alcuni casi ancora più complessi di quelli che ho citato, come persone ultranovantenni a cui è apparso assurdo anche agli altri che di fronte alla giustificazione valida solo per domenica 25 si rispondesse che potevano fare la preregistrazione online (che è l'argomento usato per respingere tutte o quasi le richieste). Qualcuno oggi mi ha fatto osservare che gli ultranovantenni voteranno in prevalenza per Bersani, ma francamente me ne infischio. Sono stanco di una politica che è sempre virtuosa a parole ma poi segue sempre la convenienza, e credo tanti italiani con me: avete presente le manfrine sull'election day ad anni alterni, dove la parte di chi vuol far risparmiare accorpando le elezioni la fanno gli altri o noi a seconda delle convenienze? Basta, sono queste le cose da rottamare...
Per me, sulle 2837 richieste pervenute (ma attenzione, diverse riguardavano più elettori), a norma di buon senso avremmo dovuto accoglierne 2644, scartando solo quelle incomplete o fasulle. A norma di Regolamento (perché le regole non si cambiano!) avremmo dovuto accoglierne 2547 (e per questo a malincuore non mi sono opposto al respingimento delle richieste belle ma che non riportavano l'impossibilità di essersi registrati prima). Invece ne sono state accolte solo 224 a causa dell'assurda delibera 26. Sono cose che ci fanno male.
Rispondo infine all'altra domanda che tutti mi fanno: avete litigato? No. Perché la delibera 26 non è colpa di quelli che erano ieri con me in via Rivani, né si può pretendere che tutti siano leoni. Naturalmente ho lasciato a verbale il mio fermo dissenso, ma non è colpa loro se il garante Berlinguer dichiara il 25 novembre che anche chi non ha votato al ballottaggio potrà liberamente registrarsi e votare, e il giorno dopo emana con gli altri garanti una delibera che di fatto lo impedisce, e poi continua a ripetere - lui e altri - che le cose stavano così da prima e che le regole non si cambiano (dopo averle appena cambiate). Non è colpa loro né mia se da quel momento cominciano colpi bassi da ambo le parti e a Roma non riescono a trovare una quadra che ci consenta di andare serenamente alla giornata di domani.
Sogno che a Roma oggi ci sia chi capisca che è ora di smettere di parlare in un modo e di agire in un altro, finendo di scaricare le tensioni sugli organi periferici del partito e sui militanti e sui volontari, che al 99% è gente pulita e bella sia che stia sostenendo Bersani che Renzi. O vi date una sistemata, oppure venite a leggervi le migliaia di lettere appassionate del nostro popolo, quelle che ieri notte ci siamo letti noi. Ma dovete leggerle una per una: sono convinto che vi farebbe bene!

venerdì 23 novembre 2012

La rottamazione secondo me


Rottamazione è il concetto da cui è partito Matteo Renzi. Il termine ha fatto discutere ma, dopo la decisione di Veltroni e D'Alema di non ricandidarsi, i giornali hanno titolato che Renzi ha vinto questa battaglia e lui stesso si è dedicato alla rottamazione delle idee. Si può dunque passare oltre? Io penso di no. Sarebbe un  errore infatti non distinguere le cause (i meccanismi di selezione) dagli effetti (sempre le stesse facce in Parlamento).

Durante tutta la seconda Repubblica, mentre i partiti nascevano o si trasformavano, la selezione della classe dirigente, a partire dai parlamentari, è sempre rimasta in mano ad un numero ristretto di persone. Già col cosiddetto Mattarellum le liste proporzionali erano bloccate, e mentre nei collegi “a rischio” contava in effetti la qualità dei candidati, in quelli “sicuri” arrivavano i paracadutati da Roma. Col Porcellum addirittura tutte le liste sono bloccate! In tutti i casi, le candidature sono sempre state decise con procedure interne che rimandano a poche persone. E del Porcellum ancora non siamo riusciti a liberarci...

E' questo sistema di selezione che ha spinto verso i partiti padronali, singolari casi di soppressione della democrazia in soggetti politici che la democrazia si candidano a costruirla. Nel PD per fortuna non siamo mai giunti a tanto, ma è un fatto che anche da noi la selezione della classe dirigente sia avvenuta per cooptazione da parte di un nucleo ristretto di persone: non a caso le stesse per cui si è sempre derogato sul limite dei mandati, con decisioni basate sul consenso di una classe dirigente che loro stessi avevano selezionato. Mi dispiace, ma non basta il rinnovamento per cooptazione, quello in cui i capi di sempre scelgono arbitrariamente quali sono i "giovani da valorizzare".

Per questo non basta citare l'età media dei nostri parlamentari, in effetti relativamente bassa, ed i molti avvicendamenti: la domanda inevasa è chi li ha scelti, perché proprio loro? Forse il PD non poteva cambiare da solo il sistema elettorale, ma avremmo potuto e dovuto fare le primarie ogni volta che c'erano liste bloccate, togliere i listini dove potevamo, tutte cose che non abbiamo fatto. Non è quindi un caso che il vento della novità emerga da sindaci scelti attraverso primarie libere. Ed è importante che, ad esempio, il PD dell'Emilia Romagna si sia impegnato a fare le primarie per i parlamentari se restano le liste bloccate.

Matteo Renzi ha il merito di aver posto la questione con forza. Se mettiamo a fuoco che l'importante è la rottamazione dei meccanismi che producono oligarchie, per far tornare a contare parole come merito, competenza e consenso, allora è chiaro che non si tratta di attacchi personali contro qualcuno, men che meno contro persone cui dobbiamo rispetto e per alcune cose gratitudine. La gratitudine non comprende però le liturgie romane di composizione delle liste bloccate, di spartizione dei posti in Parlamento, nelle Giunte e nei Cda: sono liturgie da rottamare, senza se e senza ma. Un motivo in più per andare a votare domenica alle primarie.

lunedì 22 ottobre 2012

Cavalli, animalismo e buon senso

Con animalismo si definisce la posizione di chi ritiene che "vada accresciuta la tutela giuridica ed etica nei confronti delle specie animali differenti dall'uomo". Gli attivisti più impegnati spesso esprimono posizioni che, a seconda dei punti di vista, possono essere percepite come molto avanzate oppure estreme, ma è comunque innegabile che la sensibilità nella società verso la tutela degli animali sia ampia e stia continuamente crescendo e diffondendosi.
La politica reagisce a questi stimoli in modo vario, spesso con un mix di concessioni e di indifferenza: vengono varate norme avanzate su questioni specifiche, su impulso magari di chi è più sensibile a questi temi, salvo poi dimenticarsene nel corso di altri procedimenti che continuano a seguire il corso abituale. Personalmente penso invece che una attenzione costante e di buon senso sia opportuna e dovuta, e costituisca peraltro anche il modo migliore per avere la credibilità di chiedere che il buon senso venga usato da tutti, compresi dagli animalisti.
Uno dei risultati della mia precedente attività di assessore comunale è stato proprio il nuovo regolamento sulla fauna urbana del Comune di Bologna, approvato all'unanimità nel 2009 e che posiziona quel comune all'avanguardia nel settore: per esempio il caso imolese della giraffa non sarebbe potuto accadere a Bologna, perché il regolamento in questione impedisce l'accesso a circhi con animali esotici al seguito. 
Qui in Regione qualche segno positivo sul tema animali c'è (ad esempio ho recentemente ottenuto di inserire le associazioni animaliste nelle commissioni sulla pesca), ma vi è purtroppo un caso in cui mi sembra che stia prevalendo la legnosità burocratica e non il buon senso, ed è quello dei cavalli del centro ippico regionale. Il centro infatti viene chiuso ed i beni relativi alienati, e fra essi anche i cavalli e gli asini presenti. La richiesta degli animalisti è quella di garantire che questi cavalli non vengano ora o in futuro macellati. Lo strumento per farlo è quello di cambiare la loro qualifica, escludendone l'uso alimentare. Tale decisione deprezzerebbe il valore degli animali, d'accordo, ma non stiamo parlando di cifre esorbitanti, e inoltre se vi sono associazioni disposte a farsi carico degli animali per il loro "pensionamento" mi pare una bella cosa. 
Insomma, è uno di quei casi in cui il costo è molto limitato e il buon senso suggerirebbe di venire incontro alla richiesta che proviene dagli amici degli animali. Purtroppo finora le risposte della Giunta sono state nel senso del "non è possibile": si assicura che i cavalli non vengono venduti per essere macellati, ma non è possibile garantire che gli acquirenti non li destinino a ciò in futuro. Non mi sento di condividere questo "non è possibile" e spiego perché. E' chiaro che il cambio di qualifica diminuirebbe il valore degli animali (infatti ho già detto che è una decisione che ha un costo, seppur limitato), e per questo non possono essere gli apparati tecnici a deciderlo. Ma sono convinto che, così come può deliberare spese e sovvenzioni varie, la Regione possa decidere di accollarsi questo costo motivandolo. E' chiaro che serve una decisione politica, della Giunta o dell'Assemblea. Chi dice che non possiamo farlo perché rischiamo di essere accusati di danno erariale esprime un concetto che non mi pare supportato dalla logica, perché di danno erariale si potrebbe parlare se ci fosse un deprezzamento nascosto e non esplicitato, mentre un costo esplicito e deliberato è una decisione politica a mio avviso del tutto legittima, oltre che di buon senso. 
Mi muoverò per accertare questa possibilità, anche con chi ha le competenze legali per sciogliere quello che a me pare solo un nodo burocratico, e insieme con altri colleghi sensibili al tema. Speriamo che alla fine il buon senso prevalga.   

mercoledì 10 ottobre 2012

Perchè sostengo Matteo Renzi

In breve: mi convince l'impostazione del programma, credo ci sia un forte bisogno di cambiamento, penso che una sua vittoria farebbe bene all'Italia, alla politica e al PD.
Il programma mi convince. 
Se la destra serve solo a difendere i privilegi e le furberie e la sinistra si limita a difendere i diritti dei più deboli, il risultato - al di là delle migliori intenzioni - è una conservazione che diventa immobilità. Se ci guardiamo indietro, non possiamo non vedere la mancanza di riforme alla base della crisi profonda che ci investe. La vocazione del PD è quella di partito riformista e plurale, capace di interpretare la modernità in una chiave di equità, solidarietà e merito. Se non siamo finora riusciti ad essere pienamente all'altezza della sfida, mi spaventa che ci sia nel PD chi propone ricette che ci farebbero sostanzialmente tornare indietro. Il programma di Matteo Renzi mi pare in grado di rilanciare con la forza ed il coraggio necessari il progetto riformista del PD, coniugando equità e innovazione, solidarietà e merito.
C'è un enorme bisogno di cambiamento.
Gli italiani sono stanchi e chiedono di voltare pagina rispetto alla stagione politica che ha portato il nostro paese nella situazione di oggi. Per quanto le colpe di Berlusconi e di chi ha (s)governato con lui siano enormemente maggiori di quelle dei leader del centrosinistra, è evidente che qualcosa non ha funzionato al meglio neanche nel nostro campo: per questo il cambiamento è chiesto a tutti, e sarebbe un errore imperdonabile non accorgersene. Alcuni nostri leader storici dovrebbero riflettere di più sul perché una proposta tutto sommato banale come quella di applicare finalmente a tutti il limite statutario dei tre mandati parlamentari sia diventata una specie di slogan rivoluzionario. Ricordate l'urlo di Nanni Moretti ("con questi dirigenti non vinceremo mai") in Piazza Navona? Sono passati 10 anni, e gli elettori sono più stanchi e più arrabbiati. Non nascondiamocelo, tanti di loro non sono indecisi fra Renzi e Bersani, ma fra Renzi e Grillo.
Se Matteo Renzi vince le primarie è un bene.
Non credo per nulla agli scenari di disgregazione paventati da qualcuno in caso di vittoria di Renzi alle primarie, e penso sia scorretto evocarli. Sono convinto che il PD non imploderebbe affatto, anzi sarebbe salutare che anche alle primarie nazionali per una volta non prevalesse il candidato favorito e più sostenuto dagli apparati. A livello locale è già successo in varie occasioni, per diversi candidati che poi sono diventati sindaci vincendo bene sfide elettorali impegnative; viceversa in altri casi i candidati d'apparato che hanno vinto le primarie sono poi naufragati alle elezioni. Io penso che una vittoria di Renzi alle primarie innescherebbe una serie di avvenimenti a catena utili all'Italia, alla politica e al PD: dimostrerebbe che le primarie sono vere e aperte, il sostegno del PD alla sua candidatura dimostrerebbe che la democrazia è il nostro DNA, gli italiani riconoscerebbero la portata della novità e la premierebbero alle elezioni, compresi tanti elettori che altrimenti sarebbero tentati da Grillo, dall'astensione o da altre proposte politiche. Alla fine, i più contenti sarebbero i volontari delle Feste dell'Unità e i tanti militanti di base che hanno sempre lavorato sodo senza raccogliere particolari soddisfazioni specie ultimamente. Le altre forze politiche sarebbero costrette ad innovare anch'esse, per non sparire dalla scena. E l'Italia si aprirebbe ad un cambiamento profondo, che data la situazione mi pare una sfida non più rinviabile.
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Aggiungo infine che ho stima di Pierluigi Bersani e di tanti suoi sostenitori, e ovviamente lo sosterrò se sarà lui a prevalere, come chiunque altro dovesse vincere le primarie. Sia Renzi che Bersani che gli altri possibili candidati alle primarie hanno avuto già occasioni in cui hanno dimostrato valore, capacità e consenso. E a Bersani va riconosciuta generosità per aver accettato la sfida delle primarie. Insomma, non credo siano le qualità personali l'argomento del contendere.
Come è evidente, il mio è un ragionamento politico: visto che le primarie servono per selezionare il miglior candidato da presentare le elezioni ed io penso che questo candidato sia oggi Matteo Renzi, ritengo mio dovere sostenerlo con serietà e serenità. Forse non è la scelta più comoda, ma non è la comodità che deve guidare le scelte, come penso di aver già dimostrato anche in passato...

martedì 9 ottobre 2012

Sui costi della politica regionale

Lo scandalo partito dalla Regione Lazio e che si sta allargando mina la credibilità dell'intero sistema e ci chiama a decisioni che siano al tempo stesso rapide e definitive.
È giusto ricordare che la Regione Emilia-Romagna ha già le carte in regola sotto il profilo del numero dei consiglieri e dei costi standard, nonché indennità e spese di funzionamento che sono di gran lunga inferiori a quelle di molte altre. Non possiamo, però, evitare di interrogarci sul perché, nonostante ciò, anche la nostra Regione rischi di essere accomunata a tutte le altre agli occhi dell'opinione pubblica.
Siamo già alla terza o quarta manovra sui costi della politica nel corso di questa legislatura: da un lato, ciò può essere interpretato come un'attenzione particolare a questo tema, ma dall'altro può essere visto come un progressivo spostamento sotto la spinta dell'arrabbiatura popolare. Per questo sostengo che servono interventi giusti e rapidi, ma anche definitivi. Noi abbiamo bisogno di mettere la parola “fine” su questo capitolo, per poter tornare a dare vita a una politica sobria e capace di perseguire il bene comune.
Dobbiamo tutti avere presente che non siamo chiamati a rispondere solo delle regole, ma anche dei comportamenti. I cittadini non si accontentano di sapere che da oggi in poi gli abusi non saranno più possibili, vogliono e hanno il diritto di sapere come sono state usate le risorse finora. Trovo, pertanto, molto opportuno che si preveda una rendicontazione pubblica anche del passato.
Sui fondi ai gruppi credo sia opportuno analizzare con maggiore attenzione le spese. Comprendo l'idea che si vuole inviare un segnale forte azzerando completamente alcune voci, ma in generale non mi pare che debba passare il principio per cui ogni voce di spesa su cui si possono verificare abusi vada abolita. D'altra parte credo che occorra cercare di capire se non si possa tagliare di più. Guardiamoci bene.
Anche fuori dai fondi dei gruppi ci sono spese su cui possiamo fare meglio e avanzare proposte. Porto solo tre esempi. Io eliminerei subito la rassegna stampa cartacea, il che, oltre che soldi, ci farebbe risparmiare anche un po' di alberi. Sono favorevole, invece, alla tecnologia, ma togliamo condizioni che hanno ormai poco senso, come l'attivazione di linee ADSL con i costi a carico dell'Assemblea. Attiviamo subito la funzione di scansione in tutte le fotocopiatrici per incoraggiare a trasformare in formato elettronico i documenti: è un processo che ho avviato in Comune a Bologna cinque anni fa, come assessore, e che possiamo introdurre anche qui.
Concludo ribadendo l'auspicio di giungere nel minor tempo possibile a riforme che, però, abbiano un sapore definitivo. Non possiamo dare l'impressione di muoverci sotto la pressione dell'emergenza. Svolgiamo una riflessione coraggiosa e posizioniamoci oltre, con la consapevolezza che solo se saremo su un terreno stabile potremo difendere la buona politica. Riprendiamo in mano il nostro destino.
(Questa è una sintesi dell'intervento che ho svolto in aula il 2 ottobre 2012)

domenica 30 settembre 2012

Quale futuro per Poste Italiane?

Tanto si può dire del ruolo delle Poste nella storia italiana, altrettanto dell'importanza che tuttora rivestono per connettere il territorio (di cui però rischiamo di accorgerci solo quando viene minacciata la chiusura di uffici periferici), ma cosa possiamo dire del futuro di questa grande azienda nazionale? E più specificamente, chi è che ci sta ragionando su e sta mettendo a punto la visione del futuro che dovrà guidare l'evoluzione di questo colosso?
E' questa la domanda principale con cui sono uscito dall'incontro promosso venerdì scorso dalla CISL bolognese, con interventi di sindacalisti e di parlamentari e folta rappresentanza di lavoratori come ascoltatori.
139 mila addetti (ma erano 220 mila fino a qualche anno fa), 14 mila uffici sul territorio, 40 mila portalettere; una storia recente fatta di diversificazione dell'offerta con l'ingresso in nuovi mercati (assicurazioni, carte prepagate, telefonia mobile e così via); aumento della produttività (quanto ottenuto grazie all'innovazione di processo e quanto aumentando il carico sui lavoratori è un dato che sarebbe interessante stimare) e chiusura in attivo dei bilanci negli ultimi anni; mix di ruolo sociale commercialmente improduttivo (uffici piccoli nelle località remote) con un'operatività pienamente commerciale in altri campi; società per azioni con capitale interamente statale; sono tutti elementi che entrano nel discorso del futuro insieme al fatto direi incontrovertibile che il core business su cui le Poste sono nate e cresciute per un secolo e mezzo, la corrispondenza cartacea, è sostanzialmente a fine corsa. Quale futuro dunque?
Dai discorsi che ho sentito venerdì, colgo elementi in chiaroscuro. Da un lato il desiderio di riaffermare il ruolo delle Poste proseguendo sulla strada della diversificazione dei servizi, che negli ultimi anni si è rivelata premiante insieme alla forte e progressiva riduzione di personale, dall'altro un po' di confusione nell'identificare quali diversificazioni su cui investire e soprattutto nel definire l'identità (e le dimensioni) del soggetto che le Poste dovrebbero avviarsi a diventare. Inoltre, e questo è a mio avviso il dato più inquietante, la sensazione che non ci sia nessuno che per conto della proprietà della società (lo Stato, cioè noi tutti) si stia ponendo il problema del futuro di Poste.
Se gli unici interlocutori resteranno la dirigenza nominata e i sindacati, non è difficile ipotizzare che le Poste proseguiranno una lenta planata verso il pensionamento del suo ancora vastissimo personale, sostenuto da operazioni di diversificazione che rischiano di essere di breve periodo e destinate a dare ossigeno temporaneo al colosso declinante ma non la strategia con cui affrontare il futuro che ci attende...

mercoledì 26 settembre 2012

Qualche chiarimento sul Passante Nord

Sul Passante Nord prosegue il conto alla rovescia: entro la fine di novembre, secondo il verbale d'intesa firmato a luglio fra istituzioni, ANAS e Società Autostrade, si deve raggiungere una convergenza su tracciato e caratteristiche del progetto oppure tutto decadrà.
Mentre comprensibilmente esponenti dei settori economici premono perché il passante si faccia comunque e comitati e forze politiche avverse perché l'idea venga in ogni caso abbandonata, è significativo che esponenti delle diverse istituzioni coinvolte (Regione, Provincia, Comuni) nei giorni scorsi siano intervenuti per sottolineare come l'attuale progetto non vada bene ed occorra mettervi mano pesantemente per renderlo accettabile.
Premesso che sono pienamente d'accordo sul fatto che l'attuale progetto di Autostrade sia inaccettabile, e che auspico che il tavolo da poco costituito sia in grado di giungere ad una formulazione convincente e sostenibile per il nostro territorio, non posso però tacere un forte disagio per l'attuale situazione e per come si è venuta a creare.

Nei giorni scorsi ho espresso le ragioni di questo disagio in una riunione di partito, e diversi mi hanno risposto che in questo momento occorre concentrare i nostri sforzi sulla trattativa in atto e non serve focalizzarsi sul perché siamo arrivati fin qui. Ci stavo riflettendo sopra, perché da un lato vorrei confermare il mio sincero e leale sostegno allo sforzo che è in corso al tavolo della trattativa, dall'altro però vorrei evitare di aspettare dicembre rischiando poi di sentirmi rispondere che è tardi e a quel punto inutile porre questioni di metodo. Poi ieri sono uscite notizie sulla riunione di partito in questione cui l'assessore Peri ha replicato, e oggi ne scrivono in cronaca locale Carlino e Repubblica, e questo mi costringe a qualche chiarimento.

Lo spunto polemico ripreso dai giornali riguarda una frase contenuta nel progetto di Autostrade (è stato pertanto sviluppato un tracciato all’interno del corridoio che Regione Emilia Romagna e Provincia di Bologna hanno individuato e proposto, dopo aver sentito preliminarmente i comuni interessati”) e la lettera della UE del luglio 2010.

Della frase in questione avevo parlato nella mia newsletter del 13 settembre scorso (definendola “una cosa destituita di fondamento e proprio per questo davvero inquietante”) e nella riunione del 18 ho chiesto con forza che fosse chiesta una smentita ufficiale ad Autostrade. Per questo è del tutto infondato e fuorviante sostenere che io stia accusando di combine i sindaci del territorio, sindaci che hanno detto sempre e in ogni sede di non aver mai avallato il “passantino” e che per fortuna erano presenti alla riunione.

Oggi prendo atto che la frase è stata liquidata dall'assessore Peri come “un refuso, che è rimasto scritto nel documento perché Autostrade pensava di avere il tempo di condividere la proposta, ma il tempo alla fine non c'è stato”. Anche Autostrade poco fa è intervenuta per chiarire che “l'elaborazione dello studio di fattibilità è stato predisposto in assenza del coinvolgimento della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Bologna e dei Comuni di pianura interessati”. Apprezzo molto il chiarimento, anche se non è che faccia particolare onore all'acume di Società Autostrade il fatto di aver stravolto il progetto degli Enti locali senza coinvolgerli, né alla lungimiranza degli Enti locali aver firmato un verbale d'intesa – ultimatum in luglio per accorgersi pochi giorni dopo che il progetto in discussione è completamente diverso dal Passante del PTCP.

Già che siamo in tema di refusi, segnalo ad Autostrade che nella tavola CAP001-2 (Ubicazione campi e cantieri) c'è come data “giugno 2010” che è sicuramente un altro refuso, visto che tutte le altre tavole del progetto sono datate “luglio 2012”. Quanto alla mancanza di tempo, ricordo solo che in precedenza il verbale di intesa era stato chiaramente indicato come la premessa indispensabile per poter affrontare il merito della questione: “Solo con la formalizzazione da parte del Governo dell'incarico progettuale a società Autostrade sarà possibile dissipare ogni dubbio e valutare in modo concreto e chiaro eventuali razionalizzazioni che dovessero essere proposte” (dichiarazione del vicepresidente della Provincia Venturi dell'11 aprile 2012, condivisa con gli amministratori del territorio).

E' in effetti un vero peccato che le eventuali razionalizzazioni (rispetto al progetto nel PTCP) si siano tradotte in un radicale cambiamento del progetto. Anche perché non è difficile capire, carta geografica alla mano e con un minimo di geometria in mente, che accorciare in modo significativo il progetto del passante è impossibile senza impattare in modo inaccettabile sui territori attraversati e senza cambiare alla radice la natura e l'impostazione dell'opera. Ringrazio Campos Venuti e Fallaci per averlo spiegato bene in un articolo sull'Unità lo scorso 8 settembre, ma forse era possibile arrivare a capirlo anche prima e da soli. Per questo avevo trovato preoccupante che dal 2010 si parlasse di via libera al Passante purché più corto senza che nessuno facesse rilevare che un passante corto era quanto meno un'altra cosa rispetto al progetto condiviso dal territorio. E i tracciati poi usciti sulla stampa e sempre smentiti, ma curiosamente simili al progetto poi presentato da Autostrade, non erano stati un bel segnale. Per questo avevo scritto un post preoccupato sul mio blog sei mesi fa e avevo ricominciato a seguire con attenzione la vicenda.

Ora siamo ad un punto cruciale, in cui c'è un tavolo di trattativa aperto e in cui come ricordavo all'inizio siamo tutti concordi sul fatto che il progetto di Autostrade vada radicalmente cambiato (vale a dire riavvicinato all'impostazione del PTCP). Aspettiamo di vedere i risultati, augurandoci che le cose vadano per il meglio. Se invece Autostrade si mostrasse indisponibile a mutare la propria impostazione, tanto più in quanto maturata senza coinvolgimento degli Enti locali, dovrà spiegare perché. Quanto alle “fantasie o dietrologie strumentali” di cui parla Peri e che su questa partita in effetti continuano ad aleggiare, mi permetto di osservare che forse per fugarle basterebbe un approccio di totale trasparenza, rendendo pubblici documenti di cui si continua a parlare come fondamentali, a partire dalla lettera della UE del luglio 2010.

PS Autostrade si metta cortesemente d'accordo anche con Anas che in un comunicato del 20 aprile 2012 aveva affermato: La definizione del cosiddetto 'Passante di Bologna' è stata oggetto di numerosi incontri che hanno portato il 3 novembre dello scorso anno alla condivisione di un 'corridoio' per la realizzazione dell'infrastruttura, durante una riunione tenuta presso l'Ivca, alla quale hanno partecipato i rappresentanti di Autostrade per l'Italia, della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Bologna. In tale sede, sono stati definiti i contenuti del verbale di accordo da sottoscrivere per la definizione dell'opera.

venerdì 21 settembre 2012

Dalla parte della giraffa imolese

Una giraffa è fuggita da un circo ed è andata in giro per il centro di Imola. Le foto e le immagini rimbalzano sul web e troveranno posto in giornali e notiziari, suscitando tutta la comprensibile ilarità del caso, anche perché per fortuna nessuno si è fatto male.
Dopodiché non sarebbe male cogliere l'occasione per una riflessione sul senso degli animali esotici nei circhi, ovvero per comprendere che il circo può essere divertente anche se non usa gli animali esotici come attrazione.
Una riflessione che in alcuni luoghi è stata già fatta, come nel caso del regolamento sulla fauna urbana del Comune di Bologna, approvato all'unanimità tre anni fa, che prevede la presenza solo di circhi senza animali esotici (art. 16 del Titolo IV). Anche altri comuni, a partire da Imola, potrebbero opportunamente ispirarsi a quel regolamento.
La giraffa di Imola, a modo suo, ha provato a darci un messaggio che credo valga la pena raccogliere.
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Aggiornamento: purtroppo la giraffa successivamente è morta.

Attenzione ai facinorosi sul referendum contro le materne paritarie

Il fatto è accaduto ieri ad un banchetto per la raccolta delle firme per il referendum contro i finanziamenti comunali alle materne paritarie. Una persona che passa viene fermata ed invitata a firmare. Risponde che non è per nulla d'accordo con il referendum. "Dunque lei è d'accordo a continuare a dare soldi ai preti pedofili!" è la replica dei raccoglitori di firme. 
Trovo il fatto sconcertante e preoccupante, perché al di là della volgarità e della scorrettezza, esso segnala un clima che di sta deteriorando
Siccome nelle poche interazioni che avevo avuto coi promotori del referendum dopo il mio post con cui spiegavo la mia netta contrarietà alle loro tesi avevo invece riscontrato piena correttezza, mi auguro che vi sia da parte loro una rapida presa di coscienza che isoli i facinorosi e riconduca il confronto nell'alveo della correttezza e del rispetto reciproco.
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Aggiornamento: mi sono sentito al telefono con un rappresentante del comitato promotore del referendum, ed abbiamo ricostruito l'episodio. Mi è stato assicurato che la persona che si è lasciata andare al commento che ho riportato era al banchetto per firmare lei stessa e non come raccoglitrice delle firme. Abbiamo anche convenuto nel condannare con fermezza l'accaduto e nell'auspicare che il dibattito avvenga effettivamente nella correttezza e rispetto delle diverse posizioni. Mi pare importante dar conto di queste precisazioni.

sabato 8 settembre 2012

M5S e democrazia

Il riflettore acceso dal fuorionda di Giovanni Favia sulla natura del Movimento 5 Stelle sta facendo molto discutere. Ma dopo aver letto molto di quanto scritto da commentatori, politici e popolo della rete, mi resta la sensazione che l'aspetto più significativo della questione continui a non essere colto. Tutti sottolineano che le parole di Favia dimostrano un evidente problema di democrazia interna e fanno emergere una lotta di potere fra esponenti (e gruppi) del M5S, nonché il ruolo centrale di Gianroberto Casaleggio accanto (o dietro) a Beppe Grillo. Tutto vero, ma non basta.

Ora, che vi sia un problema di democrazia interna in una formazione politica guidata da un leader (o meglio un dominus) che nel suo blog scrive che nel movimento “uno vale uno” e poche righe sotto procede ad un'espulsione con un semplice post scriptum, mi pare che sia di una evidenza lapalissiana. E' un problema comune anche ad altre formazioni politiche, quelle nate o finite sotto l'ombrello di un leader-padrone. Come si possa professarsi democratici militando in partiti che negano la contendibilità della propria guida, è uno dei misteri un po' inquietanti della politica italiana, ma per accorgersi che il tema riguarda in pieno il M5S non occorreva attendere il fuorionda di Favia. Che poi vi sia una contrapposizione interna fra Favia e Casaleggio non mi pare di per sé una notizia particolare, come pure l'emergere del ruolo privilegiato di Casaleggio come consigliere di Beppe Grillo. Sono dinamiche abbastanza diffuse, e il M5S non fa eccezione.

Il punto che io ritengo più significativo della vicenda è un altro: il M5S è un movimento politico in crescita di consensi, ed è naturale in un contesto di competizione democratica che la crescita porti a strutturarsi. E' una dinamica che riguarda tutti i partiti, anche quelli che difettano di democrazia interna. L'opposizione in democrazia non è una condizione permanente, ma deve essere vissuta come una fase propedeutica alla sfida per governare, e per questo è naturale la tensione verso una organizzazione di programmi e di persone capace di essere potenzialmente all'altezza della sfida.

Il fatto è che chi nel M5S ha mostrato questa tendenza ad organizzarsi, a connettere persone ed esperienze, è stato finora sistematicamente fermato. Favia, Tavolazzi ed altri si davano da fare per crearsi una rete e dei riferimenti, e questo li ha portati in rotta di collisione con lo schema di Casaleggio. Non perchè fosse una organizzazione conflittuale con una rete di altre persone preferite da Grillo e Casaleggio: al contrario, la sensazione che si ha guardando dall'esterno è che loro non vogliano affatto che nasca una organizzazione politica capace di lanciare la sfida per governare. In questo senso si può leggere la scelta dei meetup come indipendenti e separati e il divieto di andare in TV.

Credo sia dunque legittimo ed opportuno porsi la domanda di quale sia l'obiettivo cui tendono gli strateghi del M5S. Dal Vday in qua è chiara la linea di attacco distruttivo ai partiti tradizionali e alle loro storture, con critiche a volte giuste e a volte no. Ma al di là della demolizione qual è la prospettiva nel caso di una loro affermazione? Guardando alle suggestioni evocate da Casaleggio, puntualmente riportate dai commentatori ma senza che nessuno le prenda mai sul serio, è evidente che lo schema di gioco che ha in mente è un'alternativa tecno-futuribile che non solo si discosta dai modelli tradizionali ma che non fornisce nemmeno alcuna garanzia di essere contenuta nell'alveo della democrazia. Trovo la cosa francamente preoccupante.

giovedì 26 luglio 2012

I miei no al referendum contro le materne paritarie

A Bologna dunque ci sarà un referendum per chiedere ai cittadini come preferirebbero usare «le risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d'infanzia paritarie a gestione privata», se «per le scuole comunali e statali» o «per le scuole paritarie private». 
Lascio da parte l’amarezza per gli appelli caduti nel vuoto ad evitare una contrapposizione che somiglia ad una guerra fra poveri e le considerazioni sui tanti modi migliori per spendere i 500 mila euro che costerà al Comune il referendum. Prendo atto che i promotori del referendum ritengono evidentemente fondamentale la questione. Affrontiamo dunque la discussione sul merito, con rispetto reciproco ed anche col rispetto della verità, dell'intelligenza e del buon senso. Conosco e rispetto la passione civile di diversi esponenti del Comitato art. 33. In passato alcuni di loro apprezzarono alcune mie prese di posizione. Il fatto che su questa battaglia ci troviamo su fronti opposti spero non ci impedirà un confronto ed un ascolto reciproco attento e sincero.
Ecco alcuni motivi per il mio no convinto al referendum.
1) La difesa della scuola pubblica è la mia battaglia. La divisione sul referendum non è fra sostenitori della scuola privata e difensori della scuola pubblica. Prima di tutto perché qui stiamo parlando di scuola dell’infanzia e non di scuola dell’obbligo. Poi perché sul rapporto fra scuole a gestione pubblica e privata vi sono tre orientamenti principali: c’è chi vorrebbe eliminare ogni distinzione fra pubblico e privato (la destra); c’è chi vorrebbe statalizzare tutto (la sinistra radicale, in sintonia coi promotori del referendum); c’è chi difende la centralità del controllo pubblico nel quadro di un sistema scolastico pubblico integrato di cui anche le convenzioni di cui stiamo parlando fanno parte (la sinistra riformista, cioè il PD).
2) La scelta del sistema scolastico pubblico integrato è costitutiva del PD. Spesso si dice che al PD manca una linea politica chiara su alcuni argomenti, e si mette in luce il faticoso dibattito per giungere a sintesi. Ma in questo caso fortunatamente la linea c’è, fin dalla fondazione. Basta leggere il manifesto dei valori del PD: «Il Partito Democratico sostiene un sistema scolastico pubblico integrato, imperniato sulla valorizzazione del ruolo educativo degli insegnanti, e in grado di garantire un’elevata qualità dei percorsi formativi» (al punto 6, il grassetto è nel documento).
3) Quella scelta è nel manifesto dei valori del PD perché si tratta di un risultato raggiunto nella stagione dell’Ulivo. È infatto un concetto centrale della legge di riforma Berlinguer del 1997 (governo Prodi), anticipata alcuni anni prima proprio dal sistema di convenzioni con le materne paritarie di cui stiamo parlando: anno 1995, sindaco Walter Vitali, assessore alla scuola Rosanna Facchini. Insomma, è un pezzo di storia bolognese e del DNA ulivista del PD quella che oggi si vorrebbe buttare via.
4) Naturalmente è legittimo che altri partiti abbiano un’opinione diversa, e peraltro è proprio il rifiuto della sintesi culturale che ha dato vita al PD che ha motivato la nascita di alcune di queste forze politiche. Ma chi oggi propone di destinare quel milione di euro alle comunali ha il dovere di spiegare come pensa di dare risposta ai 1736 bambini (quelli che attualmente frequentano le paritarie anche grazie al piccolo finanziamento comunale) che verrebbero di fatto messi fuori gioco dal provvedimento che propongono. Ma sulle risorse c’è da dire di più.
5) Guardiamo ai numeri: nelle materne bolognesi 1495 bambini frequentano una statale (18%), 5137 una comunale (61%), 1736 una paritaria (21%). Le nostre materne statali sono un terzo della media nazionale (57%) e meno della metà di quella regionale (47%) ma questo pare non essere percepito come un problema. Il Comune si accolla un peso enorme (il triplo della media regionale che è circa il 20%) con un costo a bambino di circa 6200 euro (32 milioni complessivi). Il milione speso per le paritarie rappresenta circa il 3% della spesa comunale per le scuole materne e se venisse speso per sezioni comunali consentirebbe di servire solo 170 bambini, mentre invece le paritarie sono frequentate da un numero dieci volte più alto, con una spesa media per il Comune di 610 euro a bambino. In questo contesto sarebbe ragionevole anzitutto chiedere una maggior copertura statale, non certo andare a colpire la parte relativa alle scuole paritarie.  
6) Bologna ha la percentuale più alta di materne comunali. Tre quinti è un valore enormemente più alto non solo rispetto a luoghi lontani con tradizioni diverse, ma anche a tutte le altre realtà della nostra Regione, che tipicamente tendono all’equilibrio un terzo (statale) – un terzo (comunale) – un terzo (paritarie). Questa nostra particolarità, che si esprime dai nidi fino alle scuole superiori (Aldini Valeriani), esprime certo un grande valore civile, ma non è priva di effetti dal punto di vista finanziario, anche in ragione dell’andamento dei trasferimenti statali. Alla fine, paragonando la spesa a quella di una città simile per dimensione come ad esempio Firenze, si scopre un differenziale finanziario attorno agli 80 milioni di euro (dati di un paio di anni fa ma nella sostanza ancora validi), ovvero soldi che Firenze ha in più per la manutenzione della città e per iniziative di ogni genere, e che Bologna ha in meno a causa del suo impegno sul sistema educativo. Quando ascoltiamo i bolognesi che si lamentano per le buche nelle strade dovremmo tenerne conto. Ora il referendum mira a peggiorare ulteriormente questo enorme squilibrio.
7) Viviamo peraltro in un momento di crisi e spending review in cui appare chiaro che occorre fare di più con meno risorse. Prima di tutto occorre tagliare gli sprechi, verissimo, ma serve anche un ripensamento complessivo rispetto a cose che abbiamo dato finora per scontate, sbagliando. Invece qui il referendum ci spinge a fare di meno con più risorse, l’esatto contrario di quanto dovremmo fare.
8) Le scuole comunali sono esse stesse paritarie. Questo significa che per lo Stato le materne comunali sono come le paritarie cui i referendari vorrebbero togliere le convenzioni. Cosa chiederebbero allo Stato i promotori del referendum? Di tagliare i finanziamenti alle paritarie (anche alle comunali quindi) per destinare quei fondi alle scuole statali? O per loro le comunali non sono paritarie come le altre? Penserebbero lo stesso se invece di vivere a Bologna fossero cittadini di Adro, il comune in cui il sindaco leghista ha fatto mettere il simbolo padano sulla scuola?
9) Il sistema delle convenzioni consente di esercitare al meglio un controllo pubblico di qualità anche sulle scuole materne non gestite direttamente dal Comune o dallo Stato, concetto rafforzato dall’ultima delibera del Comune di Bologna. Chi propone di tagliare le convenzioni in nome di un malinteso primato del pubblico, vuole tornare a dividere un settore che ha dimostrato da oltre 15 anni di saper funzionare in modo integrato.
10) Il fatto che molte scuole paritarie siano cattoliche non è certo il motivo per cui difenderle, né spero sia la motivazione per cui vengono attaccate. Qui è in gioco l’aspetto sociale e non altro, e bisognerebbe smettere di usare l’aggettivo cattolico a sproposito come capita di frequente in politica. Personalmente, cerco sempre di farmi carico del tutto e non solo di una parte, ed anche questo è il caso. Piuttosto, visto che qui viene attaccato un punto di sintesi fra culture diverse che è centrale per il PD, credo che la sua difesa debba stare a cuore a tutti coloro che ritengono l’ispirazione plurale del PD una ricchezza e non un difetto.
11) La sussidiarietà è un bene, se realizzata nel modo giusto: non è né un tabù e nemmeno un male necessario. Disporre e valorizzare le risorse presenti nelle società all’interno di un disegno unitario di cui la collettività (il pubblico) ha la guida ed il controllo (e nel caso scolastico una fetta fondamentale della gestione), è una delle sfide più belle ed interessanti che abbiamo di fronte. E’ sbagliato mettere la sussidiarietà in contrapposizione alla valorizzazione del pubblico. Dobbiamo riconoscere e valorizzare l’enorme patrimonio presente nella scuola pubblica, su questo c’è tantissimo da fare! Per farlo non occorre però disconoscere il contributo che può arrivare da iniziative private che si pongono non l’obiettivo di fare cassa ma quello di mettersi a servizio della comunità.
12) Francamente queste ondate ricorrenti di statalismo e antistatalismo cominciano a far venire il mal di mare. Fra chi vorrebbe privatizzare di tutto e di più, e chi invece vorrebbe statalizzare ogni cosa, esiste la strada di un riformismo possibile, moderno e non subalterno. Una strada da affermare anche facendo la fatica di spiegare che a volte gli slogan facili non bastano a risolvere problemi che ahimè si ostinano ad essere complicati. Scommettendo sul fatto che il buon senso possa aver ragione dell'enfasi ideologica. Col coraggio di fare a viso aperto delle battaglie che avremmo preferito non dover nemmeno combattere, come quella su questo referendum.

giovedì 12 luglio 2012

Anche il costo del biglietto è strategia del trasporto pubblico

Foto di giokai421 su Flickr
Oggi in commissione trasporti si è discussa una petizione dei cittadini delle zone San Biagio e Ceretolo nel comune di Casalecchio di Reno che da qualche mese pagano il biglietto del bus maggiorato rispetto alla tariffa urbana che resta invece in vigore nel resto del territorio comunale. 
Non si tratta di un caso isolato, ma diffuso nella cintura bolognese: fino a qualche tempo fa i comuni sostenevano finanziariamente un costo con l'azienda di trasporto per consentire ai propri cittadini di usufruire della tariffa urbana. 
Ora, a seguito dei pesanti tagli ai bilanci degli enti locali, molti comuni non riescono più a permetterselo. In molti casi, come a Casalecchio, l'integrazione pagata dal comune copre solo gli abbonamenti e non i biglietti di corsa semplice, e capita quindi che ci siano zone dello stesso comune per cui vale la tariffa urbana ed altre per cui occorre pagare un biglietto maggiorato (tipicamente 2 euro invece di 1,20), e magari sono solo un paio di fermate. 
E' un campanello di allarme che ci fa capire come lo schema che finora ha funzionato, alla luce della stretta finanziaria dovuta alla attuale crisi, fatica a reggere. E' l'occasione per ripensare i meccanismi delle zone e le strategie del trasporto pubblico locale per attrarre utenza: quindi (se vogliamo cavalcare la terminologia di moda) non solo spending, ma anche pricing review. E' questo l'approfondimento che ho proposto in commissione e che insieme abbiamo deciso di fare. 

giovedì 5 luglio 2012

I manicomi non devono tornare

34 anni fa la legge Basaglia sancì la chiusura dei manicomi ed una riforma profonda dell'assistenza psichiatrica: una rivoluzione anzitutto culturale, la scommessa che fosse possibile vedere il paziente come una persona e non come "un pazzo", la scelta di percorrere la strada, faticosa ma giusta, del coinvolgimento e della responsabilizzazione, del lavorare insieme al paziente e alla sua famiglia.
Chi oggi critica la legge Basaglia sostiene che il peso dei malati, non più ospedalizzati, si è scaricato tutto sulle famiglie. Questa critica ha portato ad una proposta di legge in discussione in Parlamento, che se approvata amplierebbe di molto la discrezionalità e la durata dei ricoveri obbligatori. E' evidente che sarebbe un modo  per restaurare un passato che non deve tornare.
Nel nostro dire di no a questa proposta di legge certamente abbiamo sottolineato il fatto che vi sono ambiti in cui la legge attende ancora di essere pienamente attuata. Questo non vuole dire che non ci si debba far carico della fatica delle famiglie dei pazienti psichiatrici in modo migliore di quanto non accada oggi, o che la Basaglia sia una legge immodificabile. Anzi, è opportuno proporsi di apportare dei miglioramenti, purché essi siano veri passi in avanti e non scorciatoie che ci fanno tornare indietro o che negano i principi di quella fondamentale riforma. Per esempio vale la pena dare piena attuazione alla normativa sull'amministratore di sostegno e considerare in quel contesto l'esplorazione di eventuali migliori strumenti.
Questo è il senso di una risoluzione che ieri ho presentato, insieme a diversi altri consiglieri del PD e della maggioranza di centrosinistra, all'Assemblea Legislativa della Regione. 

giovedì 28 giugno 2012

Merkel, ricordati di Kohl

Siamo alla vigilia di un vertice europeo che potrebbe rivelarsi decisivo (in un senso o nell'altro) per il futuro dell'Europa. Inutile nascondersi che l'elenco delle occasioni mancate è lungo, che le cause (e le colpe) della situazione in cui ci troviamo sono diverse e che sarebbe bene che ognuno (compresi noi italiani) riflettesse sui propri errori e provasse a non ripeterli. 
Ma oggi non posso fare a meno di pensare alla Cancelliera Angela Merkel, perché mi piacerebbe chiederle di pensare a dove sarebbe lei oggi se poco più di vent'anni fa il suo predecessore Helmut Kohl avesse ragionato come ha fatto lei in questi ultimi mesi. Dopo la caduta del muro, non c'era alcuna ragione economico-finanziaria di breve periodo che suggerisse alla ricca Germania Ovest di Kohl di fondersi con la assai più povera Germania Est. C'erano però una ragione ideale ed un progetto di largo respiro, l'unità della Germania, e Kohl ebbe il coraggio ed il merito di scegliere di lasciarsi guidare da quelli. Le prevedibili difficoltà economico-finanziarie sono state affrontate dai tedeschi in nome di un ideale, gradualmente superate e oggi la Germania è il paese che sappiamo. Kohl ha in parte anche pagato politicamente queste difficoltà, ma al di là dei suoi guai e dei suoi errori oggi non c'è tedesco ed europeo che pensando a lui non lo ringrazi per il coraggio di quella scelta. 
Se non ci fosse stato Kohl, oggi Angela Merkel sarebbe ancora una cittadina della Germania Est, e chissà quale moneta ci sarebbe nel suo borsellino. Il tema che la Cancelliera ha di fronte non è molto diverso da quello di allora. Anche oggi ci sono ragioni egoistiche di breve periodo che suggeriscono alla Germania di mantenere una posizione privilegiata sulla pelle di altri stati europei meno ricchi e meno "virtuosi". Ma l'egoismo nel medio-lungo periodo sarebbe un disastro anche per i tedeschi. Anche oggi c'è un ideale ed un grande progetto, l'Europa unita, su cui vale la pena di scommettere e di fare dei sacrifici. Riuscirà Angela Merkel ad essere all'altezza del suo predessore Helmut Kohl? 
Se lo sarà, gli europei del futuro avranno motivo di essergli grati. Se invece non lo sarà, allora temo che la lettura consigliata sia quella della parabola del debitore spietato nel Vangelo di Matteo:
"Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse avere anche tu pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". (Mt 18,23-35)

mercoledì 23 maggio 2012

Addio, Maurizio

Conobbi Maurizio Cevenini alle primarie del 1999. Ho letto in questi giorni che gli era stato chiesto di farle come comprimario ma non è vero: Maurizio provò a vincere anche quelle. Lo dico perché penso che in questa sua convinzione un po’ naif, di potersela giocare anche se era evidente la sproporzione delle possibilità, ci fosse già la radice del suo personaggio ed uno dei motivi per cui risultava simpatico, soprattutto alle persone semplici. Maurizio era intimamente convinto che facendo le cose per bene, contattando una persona dopo l'altra, si potesse arrivare lontano. Se allora faceva sorridere, dodici anni dopo lo ha dimostrato: stando con il suo stile in mezzo alla gente è arrivato a battere tutti i record di preferenze personali. Inoltre Maurizio non prendeva sul serio solo se stesso, ma anche gli altri. Io ero allora uno sconosciuto, candidato senza sponsor politici e con l’establishment che mi osservava con un misto di sospetto e di scetticismo. Maurizio invece mi prese sul serio da subito, come faceva con tutti.
Gli anni passati insieme in Consiglio Comunale durante il mandato Guazzaloca furono importanti e formativi: fare opposizione ti insegna ad essere umile e a lavorare in vista di un obiettivo distante, e questo a Maurizio veniva naturale. Meno congeniale gli era la conflittualità, per cui dava il meglio nel ruolo di mediazione da vicepresidente del Consiglio. Proprio il tema dei contrasti in politica è stato al centro di diverse chiacchierate fra lui e me. Io lo spronavo a prendere posizioni più nette, anche a costo di dare dei dispiaceri a qualcuno, ma lui di solito si sottraeva perché non voleva rischiare di essere divisivo. In questa sua ricerca dell’ecumenismo c’era l’altra radice profonda del fenomeno Cevenini, la sua grande forza unitiva e al tempo stesso forse un elemento della sua fragilità.
Negli anni successivi abbiamo continuato a vederci e a condividere snodi importanti della storia politica di questa città. Lui Presidente del Consiglio in Provincia e io Assessore in Comune, poi lui Presidente del Consiglio Comunale e io semplice Consigliere, le campagne elettorali… in quella delle regionali eravamo entrambi candidati e volevamo organizzare una partita di calcetto all’Arci Benassi, lui capitano di una squadra e io dell’altra, per dimostrare a tutti che pur se concorrenti ci volevamo bene, poi purtroppo non si trovò una data utile. Dopo le regionali io sono tornato alla vita civile e al mio lavoro, e ci sono tornato per davvero, interpretando il distacco dalla politica come un periodo in cui staccare e riflettere, e dunque ci siamo sentiti più di rado. Ma quando ci incontravamo era sempre bello fare due chiacchiere, ascoltare i suoi pensieri, e per questo il rammarico di sua figlia Federica quando dice «Ti chiedo scusa, papà, per non essere stata capace di capire quanto eri triste, e quanto ti sentissi solo» è - con rispettosa proporzione - il rammarico di ognuno di noi.
Maurizio era ambasciatore della bolognesità nella politica ed ambasciatore della politica fra i cittadini, portavoce della gentilezza e della leggerezza in un mondo spesso duro e serioso, il suo ricordo rimarrà nel nostro cuore. Non riusciremo a sostituirlo, ma possiamo imparare da lui a rendere migliore la politica e la vita della nostra comunità.
Oggi che divento Consigliere regionale, dico che mi sarebbe tanto piaciuto esserlo insieme a lui, colleghi come tante altre volte, compagni di squadra come nelle partite di calcio fra consiglieri, e invece siamo qui a piangere la sua scomparsa. Addio, Maurizio.


Maurizio ed io in alcuni fotogrammi tratti da questo bel video.

giovedì 8 marzo 2012

L'importanza del confronto partecipato (anche per il Passante Nord)

Nella vicenda della TAV Torino-Lione uno degli aspetti che più mi colpisce è la querelle sulla mancanza di dialogo. Da un lato i NoTav lamentano che non ci sia mai stato confronto sul merito, dall'altra si risponde che invece c'è stato, è durato anni ed ha portato varie modifiche al progetto ferroviario. Possibile che le percezioni siano così distanti? Possibile che vi sia stato un iter che alcuni hanno visto come di discussione e confronto e da cui altri sono stati (o si sono sentiti) esclusi? Non lo so, ma nel dubbio mi pare un'ottima idea quella del governo di rivedere il percorso autorizzativo delle grandi opere con un esplicito percorso di partecipazione.
In attesa che la nuova normativa venga varata, vale la pena di usare il buon senso per evitare che si creino le premesse di altre situazioni di "dialogo fra sordi". Una vicenda che vorrei a questo proposito sommessamente ricordare, perchè temo che si corra qualche rischio, è quella del Passante Nord. Questione ampiamente dibattuta diversi anni fa, giungendo infine all'approvazione di uno schema che aveva come punti cardinali la banalizzazione del tratto autostradale interno alla tangenziale (così da avere una tangenziale a cinque corsie almeno) e il tracciato che tagliava la pianura bolognese lungo l'attuale trasversale di pianura. Non fu una decisione indolore, non tutti erano d'accordo e si formarono comitati contrari, ma un percorso di discussione fu fatto e la decisione che fu presa aveva queste caratteristiche.
E' passato molto tempo da allora, e ogni tanto si leggono sui giornali titoli come "via libera al passante nord" quando un ministro conferma la priorità dell'opera o essa compare in qualche elenco di interventi da finanziare. Prima o poi si arriverà al dunque, e quando accadrà si potrà obiettare che sarà passato un decennio da quando se ne discusse, ma non credo che sia questo il rischio principale. Infatti, fra le righe si è capito che il progetto in fase di elaborazione potrebbe discostarsi in modo significativo da quanto deciso a suo tempo: che si pensa di ridurre la lunghezza del tracciato, il che geometricamente significherebbe tagliare la pianura su un asse diverso dall'attuale trasversale e più vicino alla città; e la banalizzazione non sarebbe più certa, che significherebbe dire addio all'idea di una tangenziale a cinque corsie.
Ma intanto tutto tace e il titolo non cambia, resta sempre "Passante Nord". Che succederà quando verrà presentato il progetto elaborato? Si dirà che è tardi per riparlarne e che si rischia di perdere i fondi? Si forzerà per procedere con un progetto che dell'opera a suo tempo discussa conserverebbe praticamente solo il titolo? O si comincerà a discuterne da capo? Alcuni sindaci hanno opportunamente segnalato che se il progetto cambiasse in modo così radicale occorrerebbe ridiscuterlo, e io sono d'accordo. Ma siamo sicuri che sia un bene questo silenzio che sta durando ormai anni? Non sarebbe meglio un monitoraggio più continuo dell'evoluzione del progetto? E meglio ancora non sarebbe prevedere un percorso che mantenga viva e costante la partecipazione? Magari i miei sono solo timori infondati, ma se così non fosse penso che sarebbe meglio pensarci prima che dopo...

giovedì 16 febbraio 2012

Anche Guido Fanti se n'è andato

Ho aspettato qualche giorno per scrivere qui sul blog qualche parola di ricordo per Guido Fanti che ci ha lasciato nei giorni scorsi, forse anche per il timore di rientrare fra le frasi di circostanza che sempre accompagnano l'addio alle personalità politiche di rilievo.
In politica sei sempre circondato da una folla numerosa e al tempo stesso le persone su cui puoi contare fino in fondo sono davvero poche. Nel momento in cui si lascia l'agone politico rischia di emergere quindi un senso di solitudine, quella di cui parlavo anche a proposito di Oscar Luigi Scalfaro nel post precedente.
Capisco quindi chi sceglie una vita ritirata, e sono ammirato da chi invece mantiene intatta la voglia di coinvolgimento e di impegno, come Guido Fanti. Questa è la cosa che più mi ha colpito in lui, la sua poca voglia di vedersi iscritto (e mummificato) nella categoria "vecchie glorie", il suo desiderio di capire e dare consigli, senza il timore di prendere parte ed incurante dei borbotti dei tanti che preferirebbero che le vecchie glorie, per l'appunto, mantenessero un ruolo solo celebrativo senza interferire con l'attualità.
Ricordo in particolare una lunga chiacchierata con lui in un ristorante di via Monte Grappa, i suoi consigli e le sue speranze sulla nuova generazione politica bolognese. Non aveva paura di sperare, consigliava senza pontificare, chiedeva con la voglia di ascoltare - così mi pareva - parole non di circostanza, ma in questo suo desiderio veniva in generale poco corrisposto.
Per certi versi era ingombrante e al tempo stesso discreto. Era un pezzo del glorioso passato, eppure lui non lo riteneva del tutto glorioso. Sentendolo parlare, come pure leggendo le sue "Cronache dall'Emilia Rossa", si percepiva come Guido Fanti si sentisse parte della "nomenklatura" del PCI senza tuttavia sentirsene pienamente accettato. Col tempo magari le idee vengono recuperate ma non necessariamente i protagonisti, e troppo spesso la memoria manca o viene consegnata ad un generico ricordo di circostanza, buono soprattutto per chi non vuole conoscere e ricordare.
Io stesso sento di non avere tutta gli elementi necessari per svolgere fino in fondo questo ragionamento a proposito di lui, delle sue speranze e delle sue delusioni. Alcune cose le so, ma molte altre le intuisco solamente.
Con questi pensieri voglio semplicemente dire addio all'unico sindaco della mia infanzia che ho avuto in seguito la fortuna di conoscere in modo non superficiale. Addio Guido, te ne sei andato mentre c'era la neve a Bologna, e ho la sensazione che l'idea di mettersi in viaggio sotto i fiocchi che scendevano non ti sarebbe dispiaciuta...

martedì 31 gennaio 2012

In ricordo del Presidente Scalfaro

Ho conosciuto Oscar Luigi Scalfaro una decina d'anni fa, nell'occasione in cui fu scattata questa fotografia. Ricordo che ne apprezzai la cortesia e la lucidità dell'argomentare. Inoltre percepii un certo senso di solitudine, vissuta - per così dire - con molto garbo. Immagino peraltro non sia facile sentirsi "ex" per chi ha ricoperto cariche così importanti.

Personalmente sono grato al Presidente Scalfaro per il coraggio con cui ha affrontato alcuni difficili passaggi della sua presidenza. Capisco che altri possano pensarla diversamente sul punto, ma mi dispiace davvero che esponenti del Pdl si siano spinti nella polemica fino al punto di boicottare il minuto di silenzio per la sua scomparsa: è un gesto che squalifica solo chi lo compie.

Per Oscar Luigi Scalfaro, il mio minuto di silenzio è questo piccolo pensiero di ricordo.

giovedì 19 gennaio 2012

Perché non si può ormeggiare la Concordia?

Come tutti gli italiani seguo con dispiacere e preoccupazione la triste vicenda della Costa Concordia. In questi giorni sono a letto con l'influenza e ho più tempo per seguire le notizie, che occupano enormi spazi su tutti i media. Non posso però nascondere una sgradevole sensazione di disagio, nel vedere grandi approfondimenti sugli aspetti che possono destare curiosità nel pubblico e poco invece sugli aspetti tecnici delle operazioni ora necessarie soprattutto per preservare l'isola del Giglio e il mar Tirreno da un potenziale disastro ecologico.

C'è una cosa in particolare che mi ha colpito e che ho cercato ovunque senza riuscire a trovare risposta. Se c'è il rischio che la nave possa essere mossa dalle mareggiate ed essere inghiottita dal mare scivolando sul fondale marino, come da ultimo ha ricordato anche il ministro Clini parlando alla Camera dei Deputati, perché nessuno si è preso la briga di spiegare perché non si è già proceduto ad ancorare la nave al fondale o alla terraferma, attualmente distante pochi metri? Forse le dimensioni della nave, il peso, il rischio di cedimenti strutturali, il numero e il tipo di cavi necessari rendono questa operazione impossibile, ma mi sarebbe piaciuto che qualcuno lo dicesse argomentando con una certa precisione. Mi si dice che alla Camera nessuno lo ha chiesto al ministro, eppure sarebbe stata una domanda banale ma opportuna da fare.

Creare un punto di ancoraggio non richiede settimane ma ore di lavoro. Se fosse stato possibile potevano averlo tranquillamente già fatto. Non l'hanno fatto. Possiamo dedurne che questa opzione, la più ovvia, è stata scartata per motivi seri e inoppugnabili? Speriamo. Anzi, speriamo che semplicemente mi sia sfuggita la notizia, la spiegazione. Speriamo di non dover scoprire fra qualche tempo, quando magari sarà troppo tardi, che oltre a sapere tutto sulle ballerine rumene presenti in plancia e sull'audio delle telefonate fra comandante della nave e capitaneria di porto, sarebbe stato il caso di approfondire anche questa piccola questioncina...