mercoledì 30 marzo 2011

La povertà più grande è nei nostri cuori

La povertà più grande non è nelle tasche, ma nel cuore e nella mente delle persone. Siamo poveri non tanto e non solo per la disoccupazione, il precariato, le difficoltà economiche delle famiglie: siamo poveri quando perdiamo la nostra anima solidale, intraprendente e giusta.
Non sono parole mie: le sto prendendo da una lettera di alcune associazioni. In questi giorni (ma per la precisione dovrei dire soprattutto in queste notti) sto riguardando testi vari pervenuti nelle settimane scorse, contributi e suggerimenti al programma elettorale di Merola. E tra idee progettuali, numeri e scenari, proposte concrete e affermazioni di principio, ecco spuntare un concetto che ci ricorda come il cambiamento più grande cui siamo chiamati è dentro di noi. Perché certamente dobbiamo darci da fare per promuovere l'occupazione e la stabilità del lavoro, e per aiutare le famiglie in difficoltà: ma c'è di più.
Per questo trovo bella questa sottolineatura sulla povertà. Mi fa venire in mente i racconti dei nostri nonni, storie terribili della loro vita durante la guerra. Quando noi che li ascoltavamo tiravamo le somme dicendo loro "allora eravate poveri" la risposta era sempre "no, c'era chi stava peggio di noi", perché c'era in loro un grande senso della misura e nessuna voglia di autocommiserazione. Mi fa venire in mente la dignità orgogliosa e il senso di decoro di persone poverissime che ho avuto la fortuna di conoscere in paesi molto lontani, quelli dove vai per aiutare e torni capendo che in verità sei tu quello che è stato aiutato. E mi fa venire in mente le beatitudini evangeliche, naturalmente.
Penso a tutto questo facendo un respiro profondo, mentre metto a fuoco che è un punto di vista talmente assente dalle cronache quotidiane da sembrare quasi alieno: proprio per questo ce n'è un grande bisogno.
Già, le cronache quotidiane. Storie di catastrofi e di meschinità, di disastri nucleari e di imboscate parlamentari, di popoli che combattono per la democrazia e di gente che ce l'ha ma sembra che non sappia che farsene, di costituzioni calpestate senza che se ne colga la gravità e di piccoli veleni pre-elettorali gonfiati a dismisura, di popolazioni migranti e di cervelli in fuga a volte anche dal corpo che li ospita. Dalle cronache giapponesi a quelle libiche, dalle sceneggiate lampedusane a quelle parlamentari, dai cambiamenti planetari alla piccola cronaca locale, c'è grande abbondanza di personaggi che ritengono di aver capito tutto, e la terribile sensazione che il bandolo della matassa sfugga ai più.
Manca la memoria, la coerenza, il rigore, l'umiltà, il senso della misura. Tutto è opinabile, mutevole, giustificabile, l'incertezza regna sovrana. In questa melassa scompare perfino la scienza, perché anche le idiozie sembrano credibili se hanno il marchio dell'ufficialità. Volano i colpi bassi, in un festival di pagliuzze e di travi viste però sempre nell'occhio degli altri. Si perdono le proporzioni, in un gioco di specchi in cui un serial killer può apparire un innocente perseguitato ma poi basta un'esitazione per inchiodare qualcun altro sulla croce.
Risultati? In Libia c'è la no-fly zone. In Giappone, dalle parti di Fukushima, si sta stabilendo una no-life zone. In Italia vogliono creare una no-law zone dalle parti di Arcore (ma non solo) ed una fora-dai-ball zone più verso l'esterno. A Bologna c'è chi si sta impegnando per creare una no-fair-play zone: vediamo di evitarlo, potrebbe essere il nostro piccolo contributo per una politica migliore.
Ma il primo contributo che ognuno di noi è chiamato a dare è anzitutto nel suo cuore. Anni fa, in un momento di fatica e di dubbi, una persona amica cui chiesi un consiglio sul da farsi mi disse semplicemente: "Ricordati chi sei". Fu un grande consiglio, che resta più che valido. Perché la prima povertà da combattere è quella del nostro cuore.

venerdì 11 marzo 2011

Strade pericolose e l'incrocio del piccolo cowboy

Sul Corriere di Bologna di oggi Sarah Buono ci racconta quali sono le venti strade più pericolose di Bologna, quelli con i maggiori incidenti stradali, con i morti ed i feriti. E' un elemento di riflessione importante, che voglio qui richiamare per due motivi.

Il primo è che mi ricorda una ricerca analoga che feci da consigliere comunale appena eletto circa 11 anni fa. In quell'occasione analizzai i dati degli incidenti del 1999 ma anche le strade dove nello stesso periodo erano state fatte multe e ritirate patenti per eccesso di velocità. Ne emergeva un quadro in cui le multe venivano fatte soprattutto su strade ad alto scorrimento (le linee blu nella figura) mentre i morti e i feriti gravi per lo più erano occorsi su strade ad una sola corsia (i quadrati rossi nella figura) molto meno controllate. Il perché non era difficile capirlo: su una strada ad alto scorrimento era possibile multare a getto continuo, mentre su quelle più strette i limiti venivano più rispettati, però era anche più facile che la singola guida pericolosa portasse all'incidente in cui scappava il morto. Feci le mie raccomandazioni alla PM a quel tempo, francamente non so se poi i controlli si orientarono in modo diverso negli anni successivi. Però è un tema che penso valga la pena di riprendere.
Il secondo motivo è che l'articolo indica in via San Donato la più pericolosa del 2010, e io conosco via San Donato perché la faccio tutti i giorni. A questo proposito voglio accendere un piccolo riflettore sull'incontro fra via San Donato e via Calamosco, meglio noto fra gli abitanti del luogo come l'incrocio del "Piccolo Cowboy" (dal nome della pizzeria lì all'angolo). E' un incrocio pericoloso e famigerato per i tanti incidenti che si sono succeduti nel corso degli anni. Alcuni motivi sono evidenti: visibilità nulla o scarsa, per cui se c'è qualcuno che brucia un semaforo te ne accorgi solo quando ti viene addosso in mezzo all'incrocio; inoltre venendo da Bologna c'è una curva secca poco prima dell'incrocio, che toglie per pochi secondi la visibilità del semaforo; e poi di notte va solo il lampeggiante giallo. Ma c'è un particolare ulteriore su cui ho ragionato solo di recente: c'è un ritardo fra quando scatta il rosso per i veicoli provenienti da nord (Granarolo) e quando scatta per i veicoli provenienti da sud (Bologna), immagino per consentire la svolta a sinistra a chi viene da sud e deve immettesi in via Calamosco (ovest).
Ora, quel rosso per il nord è visibile da lontano per chi proviene da est (via di Quarto superiore) e crea l'aspettativa del verde; mentre chi viene da sud vede da lontano il verde e l'incrocio sgombro, poi perde la visibilità del semaforo e quando lo rivede magari scatta il giallo e dovrebbe fermarsi (e intando da nord è rosso da un pezzo). I due che vengono da sud e da est non si vedono fra loro, perché non c'è visibilità fra sud e est. Morale: basta un attimo di anticipazione del verde per chi viene da est o un attimo di ritardo sul giallo per chi viene da sud per generare l'incidente. Ora, è chiaro che se tutti rispettassero i semafori (o le regole del codice della strada in generale) non ci sarebbero mai incidenti. Ma dobbiamo fare qualcosa di più per evitare di creare condizioni tali per cui una frazione di secondo possa risultare fatale.