martedì 28 settembre 2010

Giovanni Bersani se lo merita davvero

Da Bruxelles, dove sono per lavoro in questi giorni, ho letto della proposta del conferimento del Nobel per la pace a Giovanni Bersani e delle tante adesioni che la proposta sta raccogliendo. Chi mi conosce sa che diffido in generale delle adesioni unanimistiche, ma in questo caso non posso che dichiararmi davvero e profondamente d'accordo con la proposta. E' stata la mia reazione immediata, che confermo dopo essermi chiesto perche' la trovo davvero cosi' convincente, ed e' un pensiero che voglio condividere.
Certo, Giovanni Bersani e' una persona che ha ricoperto incarichi importanti e prestigiosi, che ha contributo con la lotta e con l'impegno alla (ri)costruzione del nostro paese, che ha aiutato a dare una prospettiva di casa, lavoro, dignita' ed impegno a tante persone sul nostro territorio e in paesi lontani, che ha saputo andare oltre le cariche e le onorificenze continuando ad impegnarsi ogni giorno sul piano sociale e volontario, che dall'alto della sua ormai veneranda eta' ci da' ogni giorno una lezione di lucidita', di umilta', di impegno.
Sono tutte cose vere e probabilmente sarebbero gia' piu' che sufficienti, eppure sento che c'e' qualcosa di piu'. Me lo sono chiesto, e la risposta che mi sono dato, il motivo che corona il ragionamento e mi convince in pieno, e' costituito dal suo interesse profondo per le cose che accadono sia vicino che lontano, dalla sua passione per il merito delle proposte possibili e dell'azione conseguente su cui attivarsi. Una passione viva e concreta, che riscontro ogni volta che ho la fortuna di parlargli, e che purtroppo non e' cosi' facile trovare al giorno d'oggi nella nostra classe politica e non solo.
Per questo abbiamo tanto da imparare da Giovanni Bersani.
Per questo sono orgoglioso di essergli amico.
Per questo approvo e sostengo la sua candidatura al Nobel per la Pace.

giovedì 23 settembre 2010

Un nuovo modello di assistenza agli anziani, un progetto da continuare e sostenere

Oggi sono intervenuto all'istruttoria sul welfare promossa dal Comune di Bologna.
Di seguito il testo del mio intervento.

Grazie dell'invito. L'argomento è ampio e potrei parlare di molte cose, anche in ragione della responsabilità che ho avuto come amministratore in questo ambito. Preferisco però limitarmi ad alcune affermazioni di principio per poi concentrare il mio contributo su un tema specifico che ritengo meriti un'attenzione maggiore.

La riforma dei servizi sociali varata dalla Giunta di cui ho fatto parte si basava, o a mio avviso doveva basarsi, su alcuni capisaldi, che vorrei brevemente richiamare.
a) Il decentramento: è l'elemento che è emerso con maggiore evidenza. Ora, è certamente importante portare i servizi il più vicino possibile al cittadino, ma il decentramento non può essere inteso come uno scaricare pari pari i problemi sui quartieri. Se la riforma viene percepita solo lungo l'asse del decentramento è chiaro che si corre il rischio di perdere altre dimensioni importanti.
b) L'integrazione è un altro fattore fondamentale: anzitutto l'integrazione fra sociale e sanitario, con un recupero di un rapporto di piena collaborazione con l'AUSL, ma anche con gli aspetti educativi (realizzata per ora solo nel Comitato di Distretto) e in prospettiva ancora più ampia protesa ad abbracciare settori come la casa e così via. L'ottica che mette al centro il cittadino ci richiede di guardare ai bisogni della persona in modo complessivo, senza spezzettarli lungo le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.
c) Ma il terzo non meno importante elemento è la separazione fra le funzioni di gestione da un lato e quelle di indirizzo, pianificazione e controllo dall'altro. E' una distinzione utile al rapporto fra la politica e la macchina amministrativa, ma non soltanto. E' un errore grave continuare a pensare che chi gestisce debba anche pianificare e controllare: ne va a scapito della qualità ma soprattutto l'incombenza della gestione finisce per schiacciare la progettualità.
Oggi nella sanità, dove la gestione è affidata alle aziende sanitarie ed è quindi chiaramente separata, il rischio è quello di pensare che le aziende possano anche decidere la politica sanitaria. Per questo è stato importante riconquistare un ruolo al Comune, esplicitando la delega alla salute e ricoprendo un ruolo importante nella Conferenza Territoriale Socio-Sanitaria. Per questo ritengo sia stato un errore della Giunta Delbono togliere il riferimento alla salute nella denominazione del settore, e fare passi indietro da un impegno in prima linea sulla definizione della politica sanitaria.
Viceversa, nei servizi sociali che sono di competenza comunale è ancora da conquistare pienamente l'idea che chi pianifica non debba per forza anche gestire. E' una sfida presente anche nei contratti di servizio delle ASP e nei rapporti fra il settore centrale e i servizi decentrati. Ma è una sfida importante, da combattere e vincere.
Tutti e tre questi assi sono portanti, e nel loro insieme sono presupposto e riferimento per compiere il salto di qualità, ossia vincere le sfide del futuro attraverso l'innovazione.

E qui vengo al tema specifico su cui vorrei richiamare l'attenzione di tutti.
In relazione alla sfida che ci è posta dall'allungamento della vita e dal conseguente aumento della quota di popolazione anziana e spesso sola, bisogna dire cose chiare.
E' certo importante poter ricoverare gli anziani in case di riposo, case protette e residenze sanitarie assistite. Ma è sufficiente e finanziariamente sostenibile in prospettiva? Chiaramente no.
Le attuali esperienze di assistenza domiciliare e di e-care hanno certo l'effetto positivo di consentire agli anziani di restare nelle loro abitazioni. Ma hanno sinora consentito di contenere i costi in modo significativo e quindi sono già un modello su cui puntare anche sotto il profilo della sostenibilità? Anche qui la risposta è no.
Questi due no ci dicono con chiarezza che occorre definire un nuovo modello di assistenza che coniughi domiciliarità con flessibilità e costi inferiori, se vogliamo arrivare ad uno schema davvero efficace e sostenibile. Questo è dunque il punto chiave su cui investire.
Prima di proseguire faccio presente che sui posti letto e sulla attuale assistenza domiciliare si sono concentrate tutte o quasi le risorse aggiuntive arrivate attraverso il fondo per la non autosufficienza, che invece costituiva (e costituisce) l'occasione d'oro per fare investimenti e non semplice incrementare la spesa corrente.

Negli anni in cui ho avuto la responsabilità della salute (e per alcuni mesi anche dei servizi sociali) questo è un tema che mi sono posto con forza, e su cui ho ispirato una risposta che si è fatta prima proposta e poi progetto.
Quali sono i cardini di questo progetto, che al momento costituisce l'unico serio tentativo – a mio avviso – di definire un nuovo modello di domiciliarità sostenibile?
1. La flessibilità: ci serve un sistema che vada oltre lo schema attuale in cui ci sono gli assistiti da una parte e i non assistiti dall'altra. Ci sono anziani che hanno esigenze di assistenza limitate ma che oggi restano fuori dal sistema di assistenza finché le loro condizioni non si aggravano: invece sarebbe meglio essere in grado di aiutare un poco anche chi ha poco bisogno, oltre che aiutare tanto chi ha tanto bisogno.
2. Il coinvolgimento del volontariato e dell'associazionismo: non in senso accessorio ma come veri protagonisti del sistema. Peraltro, se vogliamo rendere sostenibile lo schema, questo è un punto essenziale. E in cambio cosa dare? Non soldi, ma un servizio condiviso di cui possono usufruire anche per le loro attività sociale.
3. Tecnologia di punta, non sostitutiva del rapporto fra le persone ma al contrario orientata al supporto dei rapporti interpersonali, dotata di interfacce semplici da utilizzare da parte degli anziani di oggi (dunque tv e telecomando) oppure del tutto invisibili. E naturalmente capace di una vera e piena condivisione delle informazioni e del loro aggiornamento.
4. Possibilità di aggiungere facilmente (come semplici “plug-in”) servizi, sensori, dispositivi di telemedicina, naturalmente abbattendone in modo significativo i costi visto che l'infrastruttura di comunicazione ne costituisce ad oggi la voce maggiore.
5. Schema aperto ai contributi esterni, con una scelta architetturale che definisce con chiarezza i confini e le scelte tecnologiche, e sulla base di quelle scelte capace e pronta ad ospitare sia iniziative istituzionali che del privato sociale (e non solo).
6. Per avviare questo processo virtuoso, la priorità è la messa in rete, trovando anche le forme più opportune ed innovative di collegamento.

Abbiamo definito un progetto con queste caratteristiche. Lo abbiamo presentato ad un bando europeo col nome Oldes, ottenendo un finanziamento di 2,5 milioni dall'Unione Europea, che lo ha evidentemente ritenuto lungimirante.
Abbiamo avviato la sperimentazione in un quartiere di Bologna (Savena) coinvolgendo le associazioni delle anziani, che hanno aderito ed abbracciato il progetto con vero entusiasmo (vedi articoli sul periodico dello SPI).
In Europa abbiamo presentato il progetto in diverse occasioni, suscitando sempre molto interesse e in tanti ci hanno chiesto di vedere quali risultati saremmo riesce a raggiungere.

Insomma, io credo davvero che valesse e valga la pena di portarlo avanti con decisione. Invece, è accaduto che l'amministrazione Delbono non lo ha ritenuto degno di investimenti, stornando alcune voci che erano previste su di esso. Ed ora quel progetto, come molto altro, è nel limbo in attesa che si trovi un luogo dove decidere se e come continuare.

So che qualcuno penserà che “Paruolo sta difendendo il suo progetto”. Faccio notare che io non ho costruito sulle mie idee alcuna rendita di posizione, anzi al contrario ho regalato le mie idee alla mia città. Proprio questo mi mette però nelle condizioni di poter difendere con forza le cose in cui credo, che è quello che sto facendo. Ora, è possibile che altri abbiano una visione diversa, ma vi prego ditemela, spiegatemi, discutiamo. Ma non venitemi a raccontare che così com'è il sistema può reggere all'impatto del cambiamento demografico. Che basta parlare di bilancio per costruire un nuovo welfare. O che basta fare un po' di telefonate o distribuire un po' di telesalvalavita per ritenere di essere all'avanguardia sull'e-care. Andatelo a raccontare in Europa, e vediamo se riuscite ad ottenere un finanziamento di qualche spicciolo.

Ogni volta che ho parlato di questi temi mi sono sentito dire bravo, hai ragione, è proprio vero. Magari dalle stesse persone che poi al dunque dimostrano di avere altre priorità. La stanchezza della gente della politica nasce proprio dalla sensazione che ai politici non interessi davvero il da farsi, solo occupare la scena. Ecco perché ai tanti che parlano di Bologna come una città in declino, senza idee, vorrei dire che c'è di peggio. E il peggio è avere le buone idee in mano e non sapere nemmeno riconoscerle. Questo è esattamente il caso dello sforzo in atto che va sotto il nome del progetto Oldes, e che invito chi ha responsabilità in Comune e nella politica di riconoscere e sostenere.

sabato 18 settembre 2010

Elemosina da buttare

Ieri mattina sulla metropolitana di Roma un episodio che merita di essere raccontato. Salgo di corsa alla stazione Termini sull'ultimo vagone della linea B, e sono proprio in fondo al treno. Più avanti arriva nel vagone una donna che spiega ad alta voce i suoi guai e poi comincia a passare dai passeggeri chiedendo l'elemosina con un cestino ricavato da un giornale. Raccoglie un po' di spicci e arriva in fondo alla carrozza, dove fra gli altri ci sono anch'io. Si guarda intorno, capisce che il treno lì finisce, guarda gli spicci nel suo cestino improvvisato, e appena il treno si ferma e si aprono le porte si affaccia fuori, svuota il contenuto del cestino sui binari e si allontana. Facce sgomente fra i passeggeri che hanno assistito alla scena, in particolare di coloro che le avevano dato qualcosa.

Confesso di non essere incline a dare l'elemosina per strada. A volte lo faccio, ma in generale trovo più giusto sostenere le associazioni che aiutano gli ultimi: sono risorse spese meglio, e si evita di dare spazio a storie di ricatti o di veri e propri racket che a volte stanno dietro a chi mendica. Che dire poi delle leggende metropolitane che ci raccontano delle ricchezze di alcuni noti mendicanti bolognesi? E poi ci sono alcuni episodi che mi hanno fatto riflettere.

La Mercedes che si ferma all'angolo della strada, escono due donne che si tolgono le scarpe e le rimettono in macchina, girano l'angolo e cominciano a chiedere l'elemosina. La zingara che ferma me e un amico insistendo per avere qualcosa: io non le do nulla e lei manco mi considera; il mio amico invece apre il portafoglio e le porge mille lire, ma lei vede altre banconote e le vuole, e siccome lui non gliele dà lei gli urla una sfilza impressionante di maledizioni, poveretto.

E ora ci aggiungo anche la mendicante romana che dopo aver fatto il giro, svuota le offerte sui binari e se ne va. Ciliegina sulla torta, la tipa viene intercettata sul marciapiede da un controllore dell'Atac (o meglio, era una guardia giurata alla Rambo, ma sulla spalla aveva un fazzoletto giallo dell'Atac) che le chiede il biglietto. Lei glielo mostra, tutto in regola, può andare.

mercoledì 1 settembre 2010

Quale svolta per il cittadino con l'informatica in sanità

[Sintesi del mio intervento al dibattito che si è tenuto il 31 agosto 2010 alla Festa dell'Unità di Bologna]

Il rischio corrente è che si parli di sanità sui giornali solo in termini autocelebrativi quando c'è qualche inaugurazione oppure catastrofistici sull'onda di qualche episodio negativo. E che il dibattito sia circoscritto solo ad esperti ed iniziati, inevitabilmente protesi ad evidenziare i propri diversi ruoli. Ma ai cittadini che si rivolgono al sistema sanitario interessa molto la qualità delle risposte e poco quali siano le aziende o le istituzioni con cui si devono rapportare. Se vogliamo dare un contributo vero, dobbiamo quindi preoccuparci del sistema nel suo insieme, riconoscendo da un lato i grandi risultati di un passato anche recente su cui basiamo l'eccellenza del nostro sistema sanitario ma senza rinunciare a discutere con spirito critico della situazione presente e delle prospettive su cui costruire il futuro.

L'informatica può dare un contributo importante alla sanità, e deve farlo anzitutto a livello di comprensione, e per questo un grosso sforzo di semplificazione va fatto. Ad esempio, da un lato si investono milioni sulla riduzione delle liste d'attesa e dall'altro ci sono attese di mesi per determinate prestazioni: dove sta la verità? Occorre fornire indicatori quantitativi che siano semplici e fruibili per capire dove sono stati spesi i soldi e quali situazioni hanno migliorato, e che mostrino un quadro comprensibile della situazione e di come si va evolvendo.

L'informatica deve poi essere presente in modo avanzato ma non invadente o sostitutivo delle relazioni sociali. L'invecchiamento della popolazione non può essere certo risolto col potenziamento delle residenze sanitarie assistite, e al contrario serve uno sforzo straordinario per sostenere le persone anziane presso il loro domicilio. Ma se è chiaro che l'e-care sia la chiave del futuro, io dico che dobbiamo privilegiare un approccio a rete, col coinvolgimento dei corpi del volontariato e dell'associazionismo, ed una tecnologia di connessione che tenga insieme comunicazione e telemedicina, come abbiamo cominciato a fare con successo con il progetto Oldes. Progetto che la giunta Delbono ha purtroppo trascurato, e che sarebbe invece il caso di rilanciare con forza come paradigma su cui sviluppare le sfide che abbiamo di fronte. Sfida che a Bologna città, ricordiamolo, consiste nel sostenere presso le loro abitazioni 30 mila grandi anziani.

Un altro esempio in cui dobbiamo dimostrare coi fatti che si privilegia l'ottica di insieme e non di ogni singola componente del sistema sanitario è la sfida del portale della salute www.salute.bologna.it. Lanciato più di un anno fa, ma su cui occorre investire con rinnovata determinazione. Il cittadino vuole risposte dal sistema, e gli importa poco da che azienda dipenda uno o l'altro ospedale. E' la logica di fondo che ha portato alla creazione di un centro unico di prenotazione, ed è la logica su cui deve crescere l'intero sistema informativo.

La messa in rete dei medici di famiglia e la disponibilità di un fascicolo sanitario elettronico personalizzato per ogni cittadino sono tasselli fondamentali del futuro che vogliamo costruire. Un futuro che non dovrà limitarsi solo a fornire al cittadino la propria storia socio-sanitaria, ma in cui la fruibilità dei dati riferiti ad ogni cittadino ci mettano nelle condizioni di andare incontro al cittadino con una proposta di prevenzione personalizzata. Ecco dunque che al di là degli screening di massa attualmente attivi, potranno esserci molti e diversi percorsi di prevenzione rivolti in modo mirato a segmenti di popolazione sulla base della disponibilità dei dati personalizzati. Questo è il futuro a cui dobbiamo avere il coraggio di mirare da subito.