domenica 30 settembre 2007

In sala operatoria coi codici di lancio

Al di là dell'accertamento di responsabilità e dei doverosi provvedimenti conseguenti, la tragedia del S. Orsola con lo scambio di cartelle sta aprendo una riflessione anche su come migliorare le procedure, come giusto ed opportuno. Infatti, accando ad una forte responsabilizzazione degli operatori occorre anche pensare a come le procedure possano impedire o individuare tempestivamente l'eventuale errore che dovesse intervenire. Segue qualche parere personale.

Leggo della necessità di individuare con precisione l'identità dell'operatore che carica un esame nel sistema o effettua altre operazioni: giusto. Leggo anche dell'opportunità di una identificazione elettronica (braccialetto o altro si vedrà) che segua il paziente in ogni passaggio. Credo che sia un obiettivo da perseguire non solo nell'ottica della sicurezza ma anche del miglioramento del servizio: una personalizzazione con cui avere accesso da ovunque agli esami del paziente. Su questo si sta lavorando, ed occorre proseguire in questa direzione, ma ci vorrà ancora un po' di tempo.
Red Button Nel frattempo, se si vuole pensare ad una modalità di verifica che sia relativamente rapida da mettere a punto, si potrebbe prendere spunto dalle procedure militari per il lancio dei missili, rese famose da numerosi film sulla guerra fredda. Come ricorderete, non bastava la chiave: occorreva anche che i codici di lancio combaciassero sbloccando il sistema.

Così, associando un codice agli esami che "contenga" un riferimento all'identità dell'assistito, si potrebbe pensare ad una procedura che, prima di un intervento chirurgico, preveda l'immissione dei codici degli esami chiave sulla base dei quali viene effettuata l'operazione. La verifica dei codici significherebbe, tra l'altro, che l'identità del paziente per ognuno degli esami risulta confermata, evitando ciò che purtroppo nei giorni scorsi è accaduto.

1 commento:

Roberto ha detto...

Anche a me, appassionato di tecnologia aereospaziale, ogni volta che leggo di fatti come quello accaduto al S. Orsola mi viene da pensare alle procedure per la gestione e minimizzazione del rischio nel lancio di missili, nel mio caso della NASA o dell'ESA perché sono quelle che conosco meglio.

Queste procedure sono pubbliche da anni, e si basano su studi multidisciplinari (sociologia, informatica, gestione di impresa) che hanno l'obiettivo di ridurre i rischi associati al lancio.

Per fare un esempio applicato al caso verificatosi al S. Orsola, in base a quanto pubblicato 2 giorni fa da "Il Bologna": se davvero l'operatore ha fatto un errore, l'ha corretto ma il sistema non ha corretto automaticamente tutte le copie degli stessi dati esistenti, non è tanto l'operatore che ha sbagliato, ma chi ha dato il nulla osta a un sistema del genere. In un'agenzia spaziale la possibilità che il sistema permetta un errore del genere non sarebbe considerata accettabile.

Altro esempio: mesi fa in un ospedale toscano furono impiantati degli organi prelevati da un donatore sieropositivo perché, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, un operatore sbagliò a trascrivere a mano il risultato di un test da un sistema di analisi al sistema di gestione dei trapianti. L'errore di procedura qui è che il risultato del test doveva andare direttamente nel sistema finale, senza mediazioni umane che, come in tutti i compiti estremamente ripetitivi e che per oltre il 99% dei casi hanno lo stesso risultato, sono a estremo rischio di errori.

Una cosa che in questi casi mi da molto fastidio è l'abitudine molto italiana a "dare la caccia" al colpevole materiale dell'errore, senza porsi il problema del perché si è verificato l'errore e di come fare per evitare che si ripeta: mi fa quindi molto piacere leggere la sua proposta concreta per analizzare e correggere le procedure usate.

Ciao,
Roberto