martedì 26 marzo 2013

Referendum, numeri e bugie

Il referendum del 26 maggio prossimo a Bologna presenta già aspetti antipatici a sufficienza, vediamo di non aggiungerne altri. E' infatti antipatico, per chi come me tiene tantissimo alla scuola pubblica, avere a che fare con un quesito contro le materne paritarie che si presenta come a difesa della scuola pubblica, mentre in effetti a mio avviso è solo foriero di maggiori guai per la scuola pubblica che si propone di difendere. Del merito della questione ho già scritto qui e qui, e ci tornerò sopra in futuro. Oggi voglio parlare di numeri.
I numeri sono importanti perché ci portano alla concretezza della questione, che tocca così da vicino la vita dei nostri bambini. Io penso che sia pienamente legittimo avere pareri diversi e che ognuno difenda il suo punto di vista, ma i numeri dovrebbero riflettere la realtà ed essere oggettivi. Anticipo quindi subito la proposta: vorrei che i due comitati, quello promotore e quello che si oppone, insieme all'amministrazione comunale facessero una verifica sui numeri e si impegnassero ad una informazione corretta e coerente. Poi, come dicevo, ognuno voterà come meglio crede.
Lo dico perché sono preoccupato: oggi sono andato sul sito del comitato promotore del referendum, e ho guardato le infografiche disponibili. Ci sarebbe molto da dire su molte cose, ma quello che mi ha colpito come uno schiaffo è la parte che copio e incollo di seguito:
Prendo per buone le cifre del finanziamento comunale e complessivo alle materne paritarie (1.188.585 dal Comune e 2.435.585 come totale complessivo da Stato, Regione e Comune). Chiedo però al Comitato Articolo 33 di spiegare sulla base di quale considerazione calcolano 330 e 667 posti comunali rispettivamente. I dati di cui dispongo infatti, che mi ha fornito qualche mese fa l'assessore comunale competente, dicono cose diverse: 32 milioni di spesa per servire 5137 bambini alle comunali, dunque un costo medio di circa 6200 euro a bambino. Invece i conti che qui il Comitato presenta sono basati su un costo medio di 3600 euro. Perché? Se hanno informazioni migliori delle mie, sarò lieto di conoscerle, altrimenti se i numeri sono quelli che conosco io dovrebbero scrivere 190 invece di 330, e 391 invece di 677. C'è differenza, i cittadini hanno il diritto di conoscere i numeri giusti.
Ma la cosa incredibile è il passaggio successivo, e che come potete leggere afferma che con 677 posti in più all'anno si potrebbero assorbire "tutti gli iscritti alle scuole paritarie private che ogni anno sono 570". A parte che bisogna verificare se 677 è un numero sensato, qui il messaggio chiave è che se invece di finanziare le paritarie si investisse sulle materne comunali, si potrebbero assorbire tutti gli iscritti alle scuole paritarie. Che sono 1736. Diviso tre fa 578 (ecco quel 570). Quindi anche se i numeri del comitato fossero giusti (e come ho spiegato ne dubito), con il finanziamento complessivo si potrebbe coprire un terzo degli iscritti alle paritarie. O coprirli per un anno e poi non avere soldi/posti per i due anni successivi. Scrivetelo come vi pare, ma non così: con quell'artificio linguistico comunicate in realtà al cittadino che legge che se il finanziamento pubblico alle paritarie andasse alle comunali basterebbe a coprire i costi di tutti gli iscritti alle paritarie, mentre questo è falso e lo sarebbe anche se i vostri numeri fossero giusti.
Per comodità del Comitato, e in attesa rispettosa di loro eventuali controdeduzioni, allego la dicitura corretta nel caso che le mie osservazioni risultassero fondate:
numerigiusti
Infine, faccio presente che il referendum riguarda solo la cifra di finanziamento comunale e non tocca quella statale e regionale, e quindi l'ipotesi relativa al finanziamento pubblico complessivo è puramente teorica. Capisco però che l'obiettivo dei referendari è per l'appunto togliere ogni sostegno pubblico alle paritarie a gestione privata, e dunque idealmente di cancellarle o comunque escluderle dal sistema pubblico integrato. Opinione legittima che non condivido, ma che dovrebbe confrontarsi con numeri veri e non di comodo.

Referendum, numeri e bugie Giuseppe Paruolo

martedì 19 marzo 2013

Passante Nord, altro che banalizzazione

In attesa del nuovo governo si prolunga l’iter relativo al Passante Nord, che dopo un decennio pareva giunto all’epilogo con l’accordo-ultimatum fra istituzioni ed Autostrade del luglio scorso: entro novembre (2012) si sarebbe dovuto decidere. Invece siamo già a marzo 2013 e il Passante continua ad essere in una “zona grigia”, secondo la definizione di qualche giorno fa dell’assessore Peri. Sull’iter a dir poco travagliato di quest’opera ho già espresso in passato le mie perplessità: ma non è tanto lo slittamento dei tempi a preoccuparmi oggi, quanto il fatto che non si usi il tempo che passa per gli approfondimenti di merito che a mio avviso sarebbero necessari.
Rispetto all’ipotesi di Passante Nord approvata nel 2003 e poi recepita nel PTCP abbiamo già assistito a significative modificazioni, come quelle sul senso complessivo dell’opera e sul suo tracciato. Infatti il Passante del PTCP perseguiva una deviazione di tutto il traffico di attraversamento, con una penalizzazione tariffaria per chi fosse uscito e poi rientrato in autostrada per passare lungo l’attuale percorso destinato a diventare tutto tangenziale. Viceversa il Passante di Autostrade intercetterebbe solo i flussi di traffico da e verso nord (ecco perché due sole corsie) lasciando che il flusso di attraversamento est-ovest segua l’attuale percorso senza alcuna penalizzazione tariffaria. Sul tracciato, come noto, l’ipotesi di Autostrade è più corta con un impatto inaccettabile sul territorio dei comuni della cintura bolognese. Solo sul tracciato c’è stata un’opposizione ed una controproposta da parte delle istituzioni bolognesi, con una ipotesi di mediazione fra il tracciato di Autostrade e quello originario del PTCP. Allo stato, se ho ben capito, siamo ancora in attesa della risposta di Autostrade.
Nel frattempo però ci sono aspetti che emergono dai documenti che arrivano: l’ultimo di cui sono al corrente è uno studio prodotto da Autostrade a fine 2012. Fra le cose che contiene e che meriterebbero di essere discusse ne cito due.
La prima è il fatto che si prevede che anche la tangenziale debba diventare a pagamento: “per gli utenti del Nuovo Sistema Tangenziale il suo utilizzo sarà a pagamento tramite un sistema Free Flow Multilane con portali installati su ogni tratta elementare”. Ma allora scusate, e tutti i discorsi relativi alla banalizzazione della tangenziale che fine fanno? Per banalizzazione il progetto del PTCP intendeva in soldoni che l’autostrada all’interno della tangenziale diventasse tangenziale anch’essa, non viceversa. L’aspetto della banalizzazione era stato definito irrinunciabile e si era detto di averlo ottenuto: così, tutto a pedaggio? Non voglio farne una questione semantica, ma se qualcuno per banalizzazione intendesse la soluzione attualmente sul tavolo (che oltretutto è complicata forte, altro che banale) come minimo bisognerebbe chiarirsi sull’uso dei termini.
trajamLa seconda è che gli studi di traffico dimostrerebbero che con quel Passante il beneficio per l’intasamento della tangenziale sarebbe comunque molto ridotto: “sia al 2018 sia al 2035 non si evidenzia un netto miglioramento dei livelli di servizio delle complanari che si mantengono diffusamente su un LOS E”. LOS è il livello di servizio, espresso su una scala che va dal migliore A al peggiore F. Tradotto, non aspettiamoci che il traffico in tangenziale migliori significativamente. Tutto quello sforzo, e il risultato atteso è comunque insufficiente? Anche questo è un aspetto su cui sarebbe il caso di interrogarsi.
Dove se ne parla, con chi? Ogni tanto qualche voce si alza per ricordare che è importante fare il Passante, a prescindere dal come. Qualcun altro chiede di fermarlo, a prescindere dal come. Nel mezzo, qualche penultimatum e tanta attesa. Procediamo come se si potesse giustificare un sacrificio enorme in termini di risorse e di territorio quasi a prescindere dalle caratteristiche dell’opera. Sembriamo clienti entrati dal concessionario per acquistare una vettura con le idee chiarissime, ma a cui il venditore sta cambiando via via motore, modello, colore, interni, optional. La cosa singolare è che noi continuiamo a chiamare l’auto col nome di quella che volevamo comprare, anche se ormai è evidente che si tratta di tutt’altro.
Possiamo andare avanti ad oltranza in questo gioco senza dire con chiarezza quali sono le nostre condizioni irrinunciabili? Perché tocca a noi, alla politica, ai difensori dell’interesse collettivo, dire che in assenza di quelle condizioni, in assenza di un chiaro e conclamato interesse collettivo, il sacrificio di territorio e di risorse non è giustificabile. Senza continuare a portare avanti questo gioco del cerino con Autostrade (che peraltro nello studio riconosce che le evidenze sono tali da “mettere in discussione la sostenibilità trasportistica dell’intervento”) per vedere chi finirà per scottarsi le dita…

domenica 10 marzo 2013

Il business del gasolio sporco ancora in attesa di interventi decisi

pompeIl faticoso percorso di liberalizzazione all’italiana ha introdotto un po’ di concorrenza fra i distributori di carburante, ma accanto a qualche (tiepido in verità) beneficio per i consumatori, c’è un aumento dei pericoli: uno di questo è quello di rifornirsi (ad esempio) di gasolio e poi scoprire che il carburante è sporco e crea un sacco di problemi.
Lo confesso, la mia sensibilità deriva anche dal fatto che qualche tempo fa è successo anche a me. Ho fatto il pieno presso un distributore con un prezzo particolarmente conveniente, individuato “scientificamente” grazie ad uno di quei siti che consentono di cercare la pompa col prezzo migliore. Purtroppo ho subito cominciato ad avere enormi problemi col motore che pareva non conoscesse più il significato di “ripresa”. La mia disavventura si è conclusa con un intervento del meccanico che ha dovuto pulire l’impianto e sostituire il filtro del carburante. Altro che risparmio, quindi…
Qualche settimana fa ho letto che nel nostro territorio pare che il problema sia generalizzato e tanti infatti si lamentano. Ma basta provare a fare una ricerca su Internet per trovare notizie analoghe in ogni parte d’Italia. Mi sono chiesto cosa sta aspettando ad intervenire chi ha titolo per farlo; se è un fenomeno che può essere contrastato solo dalle forze dell’ordine o se si può fare qualche passo di tipo preventivo, insieme con gli operatori del settore; oltretutto non c’è solo il danno economico, ma ci sono conseguenze anche per l’ambiente (e la salute) nella combustione difettosa di carburante sporco.
Siccome sono in Regione, ho provato a segnalare alla Giunta la questione con una interrogazione , ma la Giunta ha ritenuto che si trattasse di un argomento estraneo ai propri compiti e non mi ha risposto. Rimane il fatto che il problema esiste e non sarebbe male che qualcuno si decidesse ad affrontarlo

giovedì 7 marzo 2013

L'insostenibile leggerezza del referendum contro le materne paritarie

Ho già avuto modo di esprimere il mio parere sul referendum che si terrà a Bologna a fine maggio non a favore della scuola pubblica ma contro le scuole materne paritarie. Ho già detto di come per il PD sia una priorità il garantire il servizio ai bimbi e alle famiglie nel contesto di un sistema pubblico integrato che veda l’istituzione pubblica garante di tutte le scuole materne, siano esse statali, paritarie comunali o paritarie convenzionate.
Il tema non è astratto, è reale e riguarda migliaia di bambini e le loro famiglie. In questo senso un po’ di buon senso sarebbe non solo gradito, ma dovuto. In Parlamento da qualche anno vale il principio che prima di varare una legge che prevede dei costi debba esistere la copertura di spesa in bilancio, ritenendo giustamente che frasi generiche tipo “taglieremo da qualche altra parte” siano perfettamente inutili. In questo caso è abbastanza deprimente verificare che chi cavalca l’onda del referendum in sostanza non propone alcuna alternativa sostenibile.
Voglio fornire qualche dato: ecco il numero di scuole materne presenti nelle città dell’Emilia Romagna, divise per tipologia (per convenienza abbreviata in Statali, Comunali, Paritarie anche se ricordiamo che le Comunali sono esse stesse Paritarie).
maternecittanum
Se vogliamo vederlo con le percentuali (sempre sul numero di scuole), guardiamo al grafico seguente:
maternecitta
Quale è la città dove è (enormemente) maggiore il numero di materne comunali? Bologna(60%). E quale è la città dove qualcuno ha ritenuto di promuovere un referendum che, invece di preoccuparsi di avere più materne statali, intende creare le condizioni per cui le paritarie convenzionate debbano chiudere? A Ferrara, dove c’è il 60% di materne paritarie? A Ravenna, che ne ha il 53%?  A Modena, Reggio, Rimini che sono sul 44-45%? No, a Bologna (21%).
Se i referendari avevano a cuore un tema che è in effetti nazionale, perché non hanno promosso un referendum nazionale, oppure perché non sono partiti dai luoghi dove in effetti è più alto il rischio che l’offerta statale+comunale sia bassa rispetto alle richieste?  Cosa pensano nelle altre città dove il sistema si regge con un contributo molto più alto delle materne paritarie? Che a Bologna siamo leggermente fuori di testa. E siamo così sicuri che abbiano torto?

mercoledì 6 marzo 2013

La frontiera del genoma deve avere anche una valenza regionale

Una parte consistente del futuro di tutti noi si gioca sulle frontiere della tecnologie e dell’innovazione, temi su cui dobbiamo smettere di dibattere astrattamente (siamo tutti d’accordo sull’enunciazione teorica) per arrivare a valutare il merito delle questioni: riconoscendo i passi avanti che si sono fatti e soprattutto mettendo a fuoco ciò che occorre fare per essere davvero competitivi.
Nei giorni scorsi ho interpellato la Giunta dell’Emilia Romagna per conoscere la situazione in Regione dei sequenziatori genomici di nuova generazione (NGS: Next Generation Sequencers). Si tratta di macchine che permettono di decodificare il DNA, con enormi implicazioni in molti campi di ricerca, in sanità nella cura innovativa di molte patologie, nello sviluppo di diversi segmenti industriali e produttivi.
Questi sistemi hanno due caratteristiche fondamentali che occorre tenere presente: sono parecchio costosi e producono enormi quantità di dati. Inoltre l’efficacia della ricerca o dell’utilizzo non risiede solo nell’accesso ai sistemi ma anche a dati con cui effettuare confronti. Per questo è un campo in cui è fondamentale (e non banale) mettere a punto strategie di condivisione non solo nell’uso delle macchine ma anche e soprattutto nella memorizzazione e condivisione dei dati.
La risposta che ho ricevuto restituisce un quadro interessante, con qualche passo avanti ed una certa sensibilità, ma anche con la chiara sensazione che occorrerebbe una visione strategica un po’ più robusta.
In particolare è un bene che sia in corso di elaborazione una mappa delle strumentazioni realizzate con o senza finanziamenti regionali (e un peccato che non ci sia già). E’ interessante che il sistema acquistato a Modena sia stato collocato in un centro (CGR) non finanziato dalla Regione in quanto non indicato fra i laboratori proposti dall’Università di Modena e Reggio Emilia fra i Tecnopoli. E’ senz’altro positivo che Aster abbia suggerito ad IOR di collaborare con CGR, evitando duplicazioni. Non è bene che la Regione ignori se vi sono altri sequenziatori in strutture sanitarie, a parte quello presente nel Centro Giorgio Prodi del Policlinico S. Orsola-Malpighi. Bene infine che vi sia stato un incontro di recente per parlare di condivisione dei dati, ma il fatto che sia stato promosso “dal basso” insieme all’elenco degli enti partecipanti – interessante ma certamente non esaustivo di chi nella nostra Regione ha competenze e responsabilità nel settore – è un ulteriore segnale che sarebbe invece opportuno che l’iniziativa venisse promossa direttamente dalla Regione nel quadro di una visione strategica da mettere a punto nel contesto dei Tecnopoli.