Il tema non è astratto, è reale e riguarda migliaia di bambini e le loro famiglie. In questo senso un po’ di buon senso sarebbe non solo gradito, ma dovuto. In Parlamento da qualche anno vale il principio che prima di varare una legge che prevede dei costi debba esistere la copertura di spesa in bilancio, ritenendo giustamente che frasi generiche tipo “taglieremo da qualche altra parte” siano perfettamente inutili. In questo caso è abbastanza deprimente verificare che chi cavalca l’onda del referendum in sostanza non propone alcuna alternativa sostenibile.
Voglio fornire qualche dato: ecco il numero di scuole materne presenti nelle città dell’Emilia Romagna, divise per tipologia (per convenienza abbreviata in Statali, Comunali, Paritarie anche se ricordiamo che le Comunali sono esse stesse Paritarie).
Se vogliamo vederlo con le percentuali (sempre sul numero di scuole), guardiamo al grafico seguente:
Quale è la città dove è (enormemente) maggiore il numero di materne comunali? Bologna(60%). E quale è la città dove qualcuno ha ritenuto di promuovere un referendum che, invece di preoccuparsi di avere più materne statali, intende creare le condizioni per cui le paritarie convenzionate debbano chiudere? A Ferrara, dove c’è il 60% di materne paritarie? A Ravenna, che ne ha il 53%? A Modena, Reggio, Rimini che sono sul 44-45%? No, a Bologna (21%).
Se i referendari avevano a cuore un tema che è in effetti nazionale, perché non hanno promosso un referendum nazionale, oppure perché non sono partiti dai luoghi dove in effetti è più alto il rischio che l’offerta statale+comunale sia bassa rispetto alle richieste? Cosa pensano nelle altre città dove il sistema si regge con un contributo molto più alto delle materne paritarie? Che a Bologna siamo leggermente fuori di testa. E siamo così sicuri che abbiano torto?
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