Le esitazioni e le tentazioni di questi giorni, successivi al ritiro di Maurizio Cevenini, mi fanno tornare in mente un episodio dei primi del giugno 2003.
I partiti dell'Ulivo nei mesi precedenti avevano faticosamente costruito un percorso per la scelta del candidato sindaco alle elezioni del 2004, dialogando con un insieme di associazioni: erano gli anni dei girotondi e i partiti dimostravano così apertura alla società civile. Alla fine avevamo definito insieme non primarie ma un'assemblea con regole precise nella composizione, nei meccanismi per le candidature, nel sistema di voto. Tutti d'accordo? Tutti d'accordo.
Improvvisamente emerse l'ipotesi della candidatura di Sergio Cofferati. Ma insieme alla sua disponibilità ci fece sapere che doveva ricevere una richiesta unanime da parte dell'Ulivo, senza la bega di sottoporsi al voto di un'assemblea con altri candidati. Ne discutemmo in una lunga riunione di sei ore ai primi di giugno nella piccola sede di via Caldarese, assediati dai giornalisti che non capivano il perché del prolungarsi dell'incontro. Io allora ero segretario della Margherita e la responsabilità del prolungarsi della riunione fu mia.
Il motivo è presto detto: io credevo allora come credo oggi che una delle ragioni che allontanano i cittadini dalla politica sia la sensazione che i criteri adottati siano funzionali a scelte decise altrove e fatte sulla base di ben altre motivazioni. Quando i criteri cambiano in corsa la finzione emerge in modo palese.
Quando ad esempio un politico dice che ci vuole una donna, il più delle volte non lo pensa in generale ma lo dice perché ha in mente una ben specifica candidatura femminile. Così di volta in volta serve un giovane, no serve un saggio, serve un amministratore già sperimentato, no serve un candidato civico, serve uno dei migliori, no serve un candidato popolare, serve un cattolico, no serve un laico, dalle primarie non si torna indietro, no potremmo anche non farle. Cosa ne deduce un cittadino? Che lo si sta prendendo in giro. Possiamo dargli torto?
Per questo quel 6 giugno 2003 io ero contrario a cancellare con un colpo di spugna il percorso assembleare che avevamo faticosamente definito. La mia proposta fu semplice: Cofferati si candidi all'assemblea, accettandone le regole. Impossibile. La maggior parte degli altri segretari di partito voleva dire sì e basta. Non solo, le associazioni con cui avevamo condiviso il percorso ci fecero trovare una lettera, in cui in sostanza dicevano ai partiti: non sarete mica così biechi da chiedere a Cofferati di sottoporsi all'assemblea? Quella che per loro era nata come lo strumento per non delegare ai soli partiti la scelta del candidato, ora pareva essere un tritacarne e un modo di ostacolare l'arrivo del messia. Incidentalmente, si noti che diverse di quelle associazioni anni dopo osteggiarono duramente il "paracadutato" Cofferati.
Insomma, in quella riunione ero piuttosto solo. Cofferati non accetterà mai, mi dicevano, e sarà un disastro. Ora non voglio farla lunga, alla fine l'assemblea restò in piedi ma senza altri candidati (ricorderete che per un bel pezzo Cofferati andò in giro dicendo di essere "candidato a candidato") ed io quel giorno segnalai la mia insoddisfazione per il compromesso raggiunto con un'astensione. L'astensione fece ovviamente scalpore, fu interpretata sui giornali come un segno di "divisione", quasi nessuno si prese la briga di scriverne il motivo.
Ma qui non mi interessa la rievocazione. Voglio parlare al presente. Il segretario Donini ha detto che si sarebbero fatte le primarie, lo statuto e i regolamenti fissano le regole per la partecipazione, chi vuole e raccoglie le firme necessarie può candidarsi. Ha detto anche che in presenza di più candidati del Pd, il partito sarebbe stato arbitro e non parte. Bene, da lì non si può tornare indietro. Ben vengano dunque candidati civici, migliori, briscoloni di ogni genere, ma nelle regole che il Pd e la coalizione si sono dati. Senza eccezioni per nessuno.
Se si candida qualcuno di talmente autorevole che tutti si riconoscono nella sua candidatura, sarà l'assenza di altri candidati a segnalarci che quel candidato è unico. Mentre l'aspirazione ad essere candidato unitario è giusto che ci sia in tutti, ma è appunto vincendo le primarie che si diventa il candidato unitario della coalizione.
Lo so, c'è chi dice che più candidati del Pd sarebbero un segno di divisione ed evoca il 1999, e c'è chi dice che servono candidati unici. Magari a dirlo sono persone che hanno votato i regolamenti e gli statuti che prevedono le primarie con più candidature, e che in altri momenti hanno invocato "finalmente" primarie vere. Lo so che lo dicono, e non mi sorprendo affatto, per tanti tenere fede agli impegni presi è solo una delle opzioni possibili. Però hanno torto.
Il ritiro di Cevenini può giustificare un rinvio, ma non si può tornare indietro. Se qualcuno stesse pensando di fare pasticci, sappia fin d'ora che c'è chi non è d'accordo. E soprattutto non si venga poi a dire che eravamo tutti d'accordo, che la responsabilità è di tutti. Come per la scelta di Delbono, non è vero che siamo tutti ugualmente responsabili. Basta lacrime di coccodrillo. Ricordatevelo dunque. Cambiare le carte in tavola? Not in my name.
I partiti dell'Ulivo nei mesi precedenti avevano faticosamente costruito un percorso per la scelta del candidato sindaco alle elezioni del 2004, dialogando con un insieme di associazioni: erano gli anni dei girotondi e i partiti dimostravano così apertura alla società civile. Alla fine avevamo definito insieme non primarie ma un'assemblea con regole precise nella composizione, nei meccanismi per le candidature, nel sistema di voto. Tutti d'accordo? Tutti d'accordo.
Improvvisamente emerse l'ipotesi della candidatura di Sergio Cofferati. Ma insieme alla sua disponibilità ci fece sapere che doveva ricevere una richiesta unanime da parte dell'Ulivo, senza la bega di sottoporsi al voto di un'assemblea con altri candidati. Ne discutemmo in una lunga riunione di sei ore ai primi di giugno nella piccola sede di via Caldarese, assediati dai giornalisti che non capivano il perché del prolungarsi dell'incontro. Io allora ero segretario della Margherita e la responsabilità del prolungarsi della riunione fu mia.
Il motivo è presto detto: io credevo allora come credo oggi che una delle ragioni che allontanano i cittadini dalla politica sia la sensazione che i criteri adottati siano funzionali a scelte decise altrove e fatte sulla base di ben altre motivazioni. Quando i criteri cambiano in corsa la finzione emerge in modo palese.
Quando ad esempio un politico dice che ci vuole una donna, il più delle volte non lo pensa in generale ma lo dice perché ha in mente una ben specifica candidatura femminile. Così di volta in volta serve un giovane, no serve un saggio, serve un amministratore già sperimentato, no serve un candidato civico, serve uno dei migliori, no serve un candidato popolare, serve un cattolico, no serve un laico, dalle primarie non si torna indietro, no potremmo anche non farle. Cosa ne deduce un cittadino? Che lo si sta prendendo in giro. Possiamo dargli torto?
Per questo quel 6 giugno 2003 io ero contrario a cancellare con un colpo di spugna il percorso assembleare che avevamo faticosamente definito. La mia proposta fu semplice: Cofferati si candidi all'assemblea, accettandone le regole. Impossibile. La maggior parte degli altri segretari di partito voleva dire sì e basta. Non solo, le associazioni con cui avevamo condiviso il percorso ci fecero trovare una lettera, in cui in sostanza dicevano ai partiti: non sarete mica così biechi da chiedere a Cofferati di sottoporsi all'assemblea? Quella che per loro era nata come lo strumento per non delegare ai soli partiti la scelta del candidato, ora pareva essere un tritacarne e un modo di ostacolare l'arrivo del messia. Incidentalmente, si noti che diverse di quelle associazioni anni dopo osteggiarono duramente il "paracadutato" Cofferati.
Insomma, in quella riunione ero piuttosto solo. Cofferati non accetterà mai, mi dicevano, e sarà un disastro. Ora non voglio farla lunga, alla fine l'assemblea restò in piedi ma senza altri candidati (ricorderete che per un bel pezzo Cofferati andò in giro dicendo di essere "candidato a candidato") ed io quel giorno segnalai la mia insoddisfazione per il compromesso raggiunto con un'astensione. L'astensione fece ovviamente scalpore, fu interpretata sui giornali come un segno di "divisione", quasi nessuno si prese la briga di scriverne il motivo.
Ma qui non mi interessa la rievocazione. Voglio parlare al presente. Il segretario Donini ha detto che si sarebbero fatte le primarie, lo statuto e i regolamenti fissano le regole per la partecipazione, chi vuole e raccoglie le firme necessarie può candidarsi. Ha detto anche che in presenza di più candidati del Pd, il partito sarebbe stato arbitro e non parte. Bene, da lì non si può tornare indietro. Ben vengano dunque candidati civici, migliori, briscoloni di ogni genere, ma nelle regole che il Pd e la coalizione si sono dati. Senza eccezioni per nessuno.
Se si candida qualcuno di talmente autorevole che tutti si riconoscono nella sua candidatura, sarà l'assenza di altri candidati a segnalarci che quel candidato è unico. Mentre l'aspirazione ad essere candidato unitario è giusto che ci sia in tutti, ma è appunto vincendo le primarie che si diventa il candidato unitario della coalizione.
Lo so, c'è chi dice che più candidati del Pd sarebbero un segno di divisione ed evoca il 1999, e c'è chi dice che servono candidati unici. Magari a dirlo sono persone che hanno votato i regolamenti e gli statuti che prevedono le primarie con più candidature, e che in altri momenti hanno invocato "finalmente" primarie vere. Lo so che lo dicono, e non mi sorprendo affatto, per tanti tenere fede agli impegni presi è solo una delle opzioni possibili. Però hanno torto.
Il ritiro di Cevenini può giustificare un rinvio, ma non si può tornare indietro. Se qualcuno stesse pensando di fare pasticci, sappia fin d'ora che c'è chi non è d'accordo. E soprattutto non si venga poi a dire che eravamo tutti d'accordo, che la responsabilità è di tutti. Come per la scelta di Delbono, non è vero che siamo tutti ugualmente responsabili. Basta lacrime di coccodrillo. Ricordatevelo dunque. Cambiare le carte in tavola? Not in my name.
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