lunedì 17 novembre 2008

La fatica di fare gli anticorpi contro malcostume e disonestà

Ho letto in questi giorni, provando lo sconforto di tutti (almeno spero), le cronache relative alle diffuse disonestà nella locale Agenzia delle Entrate. Siamo tutti costernati, occorre fare pulizia, e così via: non la faccio lunga, tutto questo è giusto ma è anche ovvio, perfino banale ora che sono scattate le manette.

E infatti c'è un motivo più profondo di dispiacere che mi assale quando leggo queste notizie: è che il loro emergere prova in modo plastico quanto siano poco diffusi gli anticorpi contro comportamenti di questo genere, in particolare nella pubblica amministrazione e più in generale nella società italiana.

Foto di  estherase su FlickrLa magistratura è la medicina, che interviene per cercare di estirpare la malattia. Ma un corpo sano riesce a combattere da solo, con gli anticorpi appunto, gran parte delle infezioni. Non ha bisogno degli antibiotici per un raffreddore, ne riserva l'uso per una broncopolmonite...

Tutto questo pare non accadere. Possibile che comportamenti così ripetuti non avessero indotto nessun sospetto? Non ci credo. Il problema è che spesso mancano gli strumenti, e anche se ci sono gli strumenti manca il coraggio. Chiaro che non basta un sospetto senza prove a licenziare una persona, ma magari dovrebbe essere sufficiente a raddoppiare i controlli, o ad evitare di metterla nelle condizione di fare danni maggiori.

In teoria sono tutti d'accordo, in pratica molto meno. Se ti metti a fare l'anticorpo, nei guai ci vai tu di sicuro. Ti fai un sacco di nemici, persone con meno scrupoli di te che hanno a loro volta amici della loro stessa risma, e che non mancheranno di cercare ogni occasione per fartela pagare. Mentre l'interesse pubblico che hai difeso, quello nessuno te lo riconoscerà mai. E se qualcosa andrà a finire sui giornali, stai sicuro che è molto più probabile che sia contro di te che per riconoscere la tua "diversità": a chi mai farebbe comodo farlo?

Chi avesse dei dubbi sul fatto che le cose stiano proprio così, può provare a riflettere sugli esempi che riguardano non ragionevoli sospetti, ma perfino responsabilità conclamate. Se provi a trarne le (ovvie, in teoria) conseguenze, rischi di persona. Ci sono esempi recenti, anche a Bologna, che lo dimostrano. Con sigle sindacali che hanno difeso l'indifendibile, e attaccato con paginate sui giornali chi era "reo" di aver sanzionato comportamenti inammissibili, e questo nel silenzio (imbarazzato? complice?) di tutti gli altri.

Se accade tutto questo per responsabilità conclamate, che mai potrà succedere se si adottano le precauzioni possibili solo in base a ragionevoli sospetti? Per questo anche coloro che potrebbero agire da anticorpi preferiscono far finta di niente, meglio non sapere, meglio evitare di correre rischi inutili per se stessi. Magari girano alla larga, non si immischiano, e se poi arriverà un provvedimento della magistratura, potranno sempre fingersi sorpresi: chi l'avrebbe mai detto, sdegno e stupore, faremo pulizia...

Per questo ci servono strumenti di vera ed autentica meritocrazia. Serve riconoscere in modo esplicito uno spazio alla discrezionalità di scelte, di assunzioni, di promozioni. Ma con un patto chiaro: se la persona che promuovi si rivelerà un elemento produttivo ed utile, anche la tua carriera ne avrà benefici. Ma se invece si rivelasse poco produttivo, o peggio ancora un malfattore, anche la tua carriera ne dovrà risentire, perchè è grazie al tuo cattivo giudizio che è arrivato a ricoprire quel ruolo e a fare quei danni.

In questo modo, ci sarebbe una certa remunerazione per gli anticorpi e un rischio per chi invece preferisce far finta di non vedere i bacilli del contagio. E così avremmo bisogno di meno medicine. Ma nell'attesa di una meritocrazia che nei fatti nessuno sembra davvero volere, anche se ci imbottiscono di chiacchiere demagogiche sui fannulloni, l'unica risorsa su cui possiamo ancora contare è la coscienza delle singole persone.

Mio papà ha svolto un lungo ed onorato servizio nella pubblica amministrazione: era noto per il suo rigore e la sua indisponibilità a favorire soluzioni di comodo, e questo ha fatto sì che la sua carriera progredisse sempre con molta calma, mentre altri "meno rigidi" gli passavano davanti. Io sono fiero di lui, dell'esempio che mi ha dato. E' un esempio che io cerco sempre di seguire, costi quel che costi.

1 commento:

effebi ha detto...

Non pochi dei miei cari hanno (amaramente) appreso come, ad esempio, fare buon uso delle comunicazioni via e-mail: è sempre garanzia di una risposta solerte inserire fra i destinatari in copia il papaverone con lo stelo più alto. Il destinatario della mail, suo sottoposto saprà così che qualcuno che teme potrà chiedergli ragione del suo comportamento in merito al messaggio.

Non han notato, i miei cari, molta differenza fra pubblico e privato; la prassi però riguarda la comunicazione con sole realtà grandi: mentre in quelle piccole è semplicemente impossibile non prefiggersi il risultato come scopo unico, nelle prime spesso (mi spieghi come mai) il primo ed unico scopo, quello che esaurisce tutto, è l'attribuzione delle responsabilità.

Se il mio bagno è rotto, l'importante per l'idraulico (se vuole i miei soldi) è ripararlo. Se al mio bagno arriva acqua rugginosa l'importante per l'amministratore di condominio, il Comune e l'azienda erogatrice dell'acqua è stabilire chi crocefiggere. Poi sono tutti a posto, con buona pace dei bagni rugginosi che mi faccio.

Come mai siamo diventati un paese dove gli unici strumenti efficaci (sic!) sono Striscia la Notizia e Le Iene?

Concordo fortemente con i pensieri espressi nel suo post; oso pertanto chiederle che pensa dei miei :-)

p.s. riguardo alle mail "in copia al boss": i posti grandi devono aver capito, perchè sempre più spesso è assai difficile trovarlo, l'indirizzo email del mega-direttore (che evidentemente non è arrivato dove sta per essere sventolato come spauracchio dal primo cittadino/cliente/contribuente/privato che ha un problema con la sua azienda/ente/consorzio/società). Alla faccia :-)))