martedì 7 maggio 2013

La morte di Giulio Andreotti e il fine che non giustifica i mezzi

andreottiFermo restando il cordoglio ed il rispetto per una persona che muore, la scomparsa di Giulio Andreotti suscita reazioni contrastanti: non solo nella politica e nella società italiana, ma in qualche misura anche in me stesso.
Trent'anni fa o poco più, uscito dal liceo dove ero stato un piccolo leader studentesco, decisi di interrompere il mio impegno politico perché non mi riconoscevo nei partiti di allora. A chi mi propose di impegnarmi nella DC, partito ampio che comprendeva anche persone che stimavo, ricordo che risposi che io non volevo stare nello stesso partito di Andreotti.
Già allora Andreotti rappresentava l'uomo politico di potere, con il suo portato di compromessi e di opacità che un giovane idealista come me trovava inaccettabile. Dico di  più: ricordo che facevo fatica a comprendere come si potesse far politica in quel modo, e il mio profondo distacco da tutti coloro che – pur consapevoli del livello di compromissione – comunque se ne servivano, in ossequio al principio machiavellico del fine che giustifica i mezzi.
Oggi, da idealista non più giovane continuo come un tempo a non apprezzare chi fa politica in modo machiavellico, ma l'esperienza mi ha fatto capire meglio di trent'anni fa. In una politica confusa e ricca di colpi bassi, che sovente si traduce in guerre di posizione finalizzate al controllo delle leve di potere (che "logora chi non ce l'ha"), nel turbine dei vizi privati e delle pubbliche virtù, nella sperimentazione quotidiana di piccole e grandi scorrettezze, può esserci un progressivo slittamento che gradualmente porta a ritenere accettabili cose che in realtà non lo sono affatto. Bisogna vigilare, altrimenti quando uno se ne accorge è troppo tardi. Se dovessi scommettere direi che a Giulio Andreotti è capitato proprio questo.
Andreotti se ne va tutto sommato in silenzio, fra luci ed ombre, e riposi in pace. Ci lascia come lezione il messaggio che il machiavellismo può forse servire a vincere delle battaglie di potere, ma rischia di rovinare anche i migliori statisti. No, il fine non giustifica i mezzi, è meglio perdere che perdersi.
"Ricordati chi sei", mi disse una volta una persona amica alla vigilia di una scelta difficile, fra una strada comoda ma sbagliata ed una giusta ma impervia. Non sono pentito di aver fatto la scelta più scomoda. Quella è la frase che ripeto a me stesso ogni volta che mi trovo di fronte ad un bivio faticoso: io la politica provo a farla così.
La morte di Giulio Andreotti e il fine che non giustifica i mezzi Giuseppe Paruolo

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