A
Bologna dunque ci sarà un referendum per chiedere ai
cittadini come preferirebbero usare «le
risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente
sistema delle convenzioni con le scuole d'infanzia paritarie a
gestione privata», se «per
le scuole comunali e statali»
o «per le scuole
paritarie private».
Lascio
da parte l’amarezza per gli appelli caduti nel vuoto ad evitare una
contrapposizione che somiglia ad una guerra fra poveri e le
considerazioni sui tanti modi migliori per spendere i 500 mila euro
che costerà al Comune il referendum. Prendo atto che i promotori del
referendum ritengono evidentemente fondamentale la questione.
Affrontiamo dunque la discussione sul merito, con rispetto reciproco
ed anche col rispetto della verità, dell'intelligenza e del buon
senso. Conosco e rispetto la
passione civile di diversi esponenti del Comitato art. 33. In passato
alcuni di loro apprezzarono alcune mie prese di posizione. Il fatto
che su questa battaglia ci troviamo su fronti opposti spero non ci
impedirà un confronto ed un ascolto reciproco attento e sincero.
Ecco
alcuni motivi per il mio no convinto al referendum.
1) La difesa della scuola
pubblica è la mia battaglia. La
divisione sul referendum non è fra sostenitori della scuola privata
e difensori della scuola pubblica. Prima di tutto perché qui stiamo
parlando di scuola dell’infanzia e non di scuola dell’obbligo.
Poi perché sul rapporto fra scuole a gestione pubblica e privata vi
sono tre orientamenti principali: c’è chi vorrebbe eliminare ogni
distinzione fra pubblico e privato (la destra); c’è chi vorrebbe
statalizzare tutto (la sinistra radicale, in sintonia coi promotori
del referendum); c’è chi difende la centralità del controllo
pubblico nel quadro di un sistema
scolastico pubblico integrato di cui
anche le convenzioni di cui stiamo parlando fanno parte (la sinistra
riformista, cioè il PD).
2) La scelta del sistema
scolastico pubblico integrato è costitutiva del PD.
Spesso si dice che al PD manca una linea politica chiara su alcuni
argomenti, e si mette in luce il faticoso dibattito per giungere a
sintesi. Ma in questo caso fortunatamente la linea c’è, fin dalla
fondazione. Basta leggere il manifesto dei valori del PD: «Il
Partito Democratico sostiene un
sistema scolastico pubblico integrato,
imperniato sulla valorizzazione del ruolo educativo degli insegnanti,
e in grado di garantire un’elevata qualità dei percorsi formativi»
(al punto 6, il grassetto è nel documento).
3) Quella scelta è nel manifesto
dei valori del PD perché si tratta di un
risultato raggiunto nella stagione dell’Ulivo.
È infatto un concetto centrale della legge di riforma Berlinguer del
1997 (governo Prodi), anticipata alcuni anni prima proprio dal
sistema di convenzioni con le materne paritarie di cui stiamo
parlando: anno 1995, sindaco Walter Vitali, assessore alla scuola
Rosanna Facchini. Insomma, è un pezzo di storia bolognese e
del DNA ulivista del PD quella che oggi si vorrebbe buttare via.
4) Naturalmente è legittimo che
altri partiti abbiano un’opinione diversa, e peraltro è proprio il
rifiuto della sintesi culturale che ha dato vita al PD che ha
motivato la nascita di alcune di queste forze politiche. Ma chi
oggi propone di destinare quel milione di euro alle comunali ha il
dovere di spiegare come pensa di dare risposta ai 1736 bambini
(quelli che attualmente frequentano le paritarie anche grazie al
piccolo finanziamento comunale) che verrebbero di fatto messi fuori gioco dal provvedimento che propongono. Ma sulle risorse c’è da dire di
più.
5) Guardiamo ai numeri:
nelle materne bolognesi 1495 bambini frequentano una statale (18%), 5137 una
comunale (61%), 1736 una paritaria (21%). Le nostre materne
statali sono un terzo della media nazionale
(57%) e meno della metà di quella regionale (47%) ma questo pare non
essere percepito come un problema. Il
Comune si accolla un peso enorme (il
triplo della media regionale che è
circa il 20%) con un costo a bambino di circa 6200 euro (32 milioni
complessivi). Il milione speso per le
paritarie rappresenta circa il 3% della spesa comunale per le scuole
materne e se venisse speso per
sezioni comunali consentirebbe di servire solo 170 bambini, mentre
invece le paritarie sono frequentate da un numero dieci volte più
alto, con una spesa media per il Comune di 610 euro a bambino. In
questo contesto sarebbe ragionevole anzitutto chiedere una maggior
copertura statale, non certo andare a colpire la parte relativa alle
scuole paritarie.
6) Bologna ha la percentuale più
alta di materne comunali. Tre quinti
è un valore enormemente più alto non solo rispetto a luoghi lontani
con tradizioni diverse, ma anche a tutte le altre realtà della
nostra Regione, che tipicamente tendono all’equilibrio un terzo
(statale) – un terzo (comunale) – un terzo (paritarie). Questa
nostra particolarità, che si esprime dai nidi fino alle scuole
superiori (Aldini Valeriani), esprime
certo un grande valore civile, ma non è priva di effetti dal punto
di vista finanziario, anche in
ragione dell’andamento dei trasferimenti statali. Alla fine,
paragonando la spesa a quella di una città simile per dimensione
come ad esempio Firenze, si scopre un differenziale finanziario
attorno agli 80 milioni di euro (dati di un paio di anni fa ma nella
sostanza ancora validi), ovvero soldi che Firenze ha in più per la
manutenzione della città e per iniziative di ogni genere, e che
Bologna ha in meno a causa del suo impegno sul sistema educativo.
Quando ascoltiamo i bolognesi che si lamentano per le buche nelle
strade dovremmo tenerne conto. Ora il referendum mira a peggiorare
ulteriormente questo enorme squilibrio.
7) Viviamo peraltro in un momento
di crisi e spending review in cui
appare chiaro che occorre fare di più con meno risorse. Prima di
tutto occorre tagliare gli sprechi, verissimo, ma serve anche un
ripensamento complessivo rispetto a cose che abbiamo dato finora per
scontate, sbagliando. Invece qui il
referendum ci spinge a fare di meno con più risorse,
l’esatto contrario di quanto dovremmo fare.
8) Le scuole comunali sono esse
stesse paritarie. Questo significa
che per lo Stato le materne comunali sono come le paritarie cui i
referendari vorrebbero togliere le convenzioni. Cosa chiederebbero
allo Stato i promotori del referendum? Di tagliare i finanziamenti
alle paritarie (anche alle comunali quindi) per destinare quei fondi
alle scuole statali? O per loro le comunali non sono paritarie come
le altre? Penserebbero lo stesso se invece di vivere a Bologna
fossero cittadini di Adro, il comune in cui il sindaco leghista ha
fatto mettere il simbolo padano sulla scuola?
9) Il sistema delle convenzioni
consente di esercitare al meglio un controllo pubblico di qualità
anche sulle scuole materne non
gestite direttamente dal Comune o dallo Stato, concetto rafforzato
dall’ultima delibera del Comune di Bologna. Chi propone di tagliare
le convenzioni in nome di un malinteso primato del pubblico, vuole
tornare a dividere un settore che ha dimostrato da oltre 15 anni di
saper funzionare in modo integrato.
10) Il fatto che
molte scuole paritarie siano cattoliche non è certo il motivo
per cui difenderle, né spero sia la motivazione per cui vengono
attaccate. Qui è in gioco l’aspetto sociale e non altro, e
bisognerebbe smettere di usare l’aggettivo cattolico a sproposito
come capita di frequente in politica. Personalmente, cerco sempre di
farmi carico del tutto e non solo di una parte, ed anche questo è il
caso. Piuttosto, visto che qui viene attaccato un punto di sintesi
fra culture diverse che è centrale per il PD, credo che la sua
difesa debba stare a cuore a tutti
coloro che ritengono l’ispirazione plurale del PD una ricchezza
e non un difetto.
11) La sussidiarietà è un bene,
se realizzata nel modo giusto: non è né un tabù e nemmeno un male
necessario. Disporre e valorizzare le
risorse presenti nelle società all’interno di un disegno unitario
di cui la collettività (il pubblico) ha la guida ed il controllo (e
nel caso scolastico una fetta fondamentale della gestione), è una
delle sfide più belle ed interessanti che abbiamo di fronte. E’
sbagliato mettere la sussidiarietà
in contrapposizione alla valorizzazione del pubblico.
Dobbiamo riconoscere e valorizzare l’enorme patrimonio presente
nella scuola pubblica, su questo c’è tantissimo da fare! Per farlo
non occorre però disconoscere il contributo che può arrivare da
iniziative private che si pongono non l’obiettivo di fare cassa ma
quello di mettersi a servizio della comunità.
12) Francamente queste ondate ricorrenti di statalismo e
antistatalismo cominciano a far venire il mal di mare. Fra chi
vorrebbe privatizzare di tutto e di più, e chi invece vorrebbe
statalizzare ogni cosa, esiste la strada di un riformismo
possibile, moderno e non subalterno. Una strada da affermare
anche facendo la fatica di spiegare che a volte gli slogan facili non
bastano a risolvere problemi che ahimè si ostinano ad essere
complicati. Scommettendo sul fatto che il buon senso possa aver
ragione dell'enfasi ideologica. Col coraggio di fare a viso aperto
delle battaglie che avremmo preferito non dover nemmeno combattere,
come quella su questo referendum.
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